lunedì 6 marzo 2017

Facsimile dichiarazione di esenzione dalle spese di soccombenza rinvenibile sul portale istituzionale del Tribunale di Napoli Nord


Su gentile segnalazione dell'amico e collega avv. Salvatore Setola, Vi comunico che sul sito web del Tribunale di Napoli Nord è stato predisposto un modello da allegare al ricorso introduttivo del giudizio, qualora l'assistito si trovi nelle condizioni reddituali previste per l'esonero dalla condanna al pagamento delle spese di lite in caso di soccombenza.

Sembrerebbe che alcuni magistrati della Sezione ci abbiano invitato espressamente ad utilizzare questo modello per il futuro.



Il modello è scaricabile nella pagina Modulistica, sezione "Lavoro e Previdenza", al seguente LINK


Tuttavia, da un'attenta lettura dello stesso, ho notato che non risultano aggiornati nè l'importo complessivo per beneficiare dell'esonero (si legge € 19.447,68 anzichè € 23.056,82) nè la variazione in aumento (sempre x2) per ogni familiare convivente, come specificato anche dalla Cassazione, sez. VI civile, ordinanza n° 22345/2016 (si legge € 1.032,00 anzichè € 2.064,00).

Ho quindi provveduto a modificare il modello ufficiale, aggiornando sia gli importi presenti che aggiungendo ulteriori campi, qualora i componenti familiari siano più numerosi di quelli ipotizzati nel modello.

Il file lo troverete cliccando sul bottone a seguire.



Carmine Buonomo
  

sabato 4 marzo 2017

Il risarcimento delle lesioni personali è possibile anche quando le stesse non risultino accertate strumentalmente (Cassazione, Sentenza n° 18773/2016)


Sebbene l'argomento non riguardi esclusivamente la materia previdenziale, ho ritenuto utile segnalare questa importantissima decisione, per aver la Cassazione restituito alla medicina legale il ruolo di sua esclusiva competenza nell’accertamento delle lesioni che un legislatore superficiale (e spesso prono a interessi ultronei rispetto a quelli dei comuni cittadini) aveva inopinatamente sottratto agli esponenti della classe medica.

Con sentenza n. 18773 del 26/09/2016 la Suprema Corte è infatti intervenuta a gamba tesa (a tutela – Deo gratias – degli interessi dei danneggiati) nel dibattito concernente la interpretazione degli ormai celeberrimi commi 3 ter e 3 quater dell’art. 32 del decreto legge n. 1 del 2012 convertito in legge 27 del 2012.



Premettiamo subito – prevenendo le probabilissime eccezioni sollevabili dai sostenitori dello status quo – che il caso concreto di cui è giunta ad occuparsi la corte attiene alla sfera del danno biologico temporaneo.


Tuttavia, i principi enunciati in punto di diritto sono indubitabilmente riferiti anche alle menomazioni ascrivibili alla categoria del cosiddetto danno biologico micro-permanente.

Ebbene, nella fattispecie i giudici di primo e secondo grado avevano escluso il risarcimento delle lesioni personali sulla base dell’abusatissimo assunto secondo cui le stesse non risultavano accertate strumentalmente.

Gli Ermellini, per contro, capovolgendo la vigente linea ermeneutica – oramai divenuta senso comune tra gli operatori del settore – hanno riconosciuto dignità risarcitoria anche alle lesioni le quali siano accertate non strumentalmente, ma obbiettivamente da parte di un medico legale, in ossequio al convincimento cui il medesimo pervenga in scienza e coscienza e in applicazione delle leges artis .

Che la Corte abbia inteso fare riferimento anche alle menomazioni di carattere permanente è indubitabile laddove la pronuncia de quo esplicitamente richiama sia il comma 3 ter che il comma 3 quater affermando in maniera perentoria e inequivocabile che entrambe le norme esplicano (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis) “siccome conducenti ad una ‘obiettività’ dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)”.

martedì 28 febbraio 2017

Reiezione liquidazione indennità di accompagnamento in presenza di decreto di omologa ex art. 445 bis cpc (FACSIMILE RICORSO)

In questi giorni l'INPS sta notificando decine e decine di comunicazioni di reiezione domanda di indennità di accompagnamento, nonostante il requisito sanitario sia stato ritualmente accertato e cristallizzato nel decreto di omologa ex art. 445 bis cpc.

La reiezione deriverebbe dalla mancata corrispondenza tra quanto chiesto in fase amministrativa e quanto, invece, omologato dal giudice nel provvedimento decisorio.

In pratica l'INPS cerca di far "rientrare dalla finestra" la questione della "X" sulle voci di non autonomia, regolarmente sollevata in giudizio ed ovviamente ritenuta irrilevante dai magistrati per i soggetti ultrasessantacinquenni. 

Il gravissimo comportamento dell'Istituto, a modesto avviso dello scrivente, integra in pieno il reato di cui all'art. 388 del codice penale ("Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice"), per i motivi che vi invito a leggere nel ricorso predisposto dal nostro studio.

Sull'argomento vi invito anche a consultare i numerosi post sull'annosa questione della "X" in rapporto alle voci di non autonomia.

Carmine Buonomo

venerdì 27 gennaio 2017

Indebito da trasformazione di pensione provvisoria in definitiva: la legittimità dell'azione di recupero va valutata caso per caso


Le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti sono spesso chiamate a risolvere controversie aventi ad oggetto indebiti pensionistici. 

Le casistiche sono molteplici, ma la tipologia sicuramente più diffusa è quella relativa al conguaglio tra pensione provvisoria e pensione definitiva a carico dello Stato.

Il legislatore, al fine di salvaguardare la continuità tra lo stipendio percepito in servizio e il primo rateo pensionistico ha previsto, all’art. 162 del D.P.R. 1092/73, che il trattamento venga immediatamente liquidato in via provvisoria per poi procedere ai necessari aggiustamenti in sede di definitiva. 

Proprio nel caso di liquidazione definitiva di importo minore si verifica questa problematica di indebiti. 

La questione è particolarmente aggravata dal fatto che tra la liquidazione dei due trattamenti possono decorrere svariati anni.

L’Istituto previdenziale, doverosamente, richiede la restituzione di quanto effettivamente versato in più rispetto all’importo dovuto. 

I pensionati, spesso ignari delle modalità di calcolo della prestazione ricevuta, a loro volta cercano tutele giurisdizionali. 

Da un punto di vista normativo viene spesso evocato il principio contenuto nell’art. 206 del D.P.R. 1092/73, il quale dispone che nel caso di revoca o modifica del provvedimento (come testualmente recita il titolo IV del medesimo DPR) non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato. 

Il richiamo a tale disciplina però è errato e fuorviante, non potendo trovare applicazione all’ipotesi in argomento; più esattamente nella fattispecie non vi è alcuna norma che affronti la questione.

giovedì 26 gennaio 2017

Sanatoria indebiti ex art. 13 L. 412/1991: il requisito oggettivo e soggettivo previsti dal primo comma non devono necessariamente coesistere con quello cronologico indicato nel secondo comma


Per chiarire meglio il concetto del presente post bisogna necessariamente partire dall'esame delle due disposizioni cardine in tema di indebiti previdenziali ed assistenziali:

A) art. 52 (Prestazioni Indebite), LEGGE 9 marzo 1989, n. 88
1- Le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonche' la pensione sociale (NDR OGGI ASSEGNO SOCIALE), di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione
2- Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato

B) art. 13 (Norme di interpretazione autentica) LEGGE 30 dicembre 1991, n. 412
1- Le disposizioni di cui all'articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all'interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all'ente erogatore, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato. L'omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano gia' conosciuti dall'ente competente, consente la ripetibilita' delle somme indebitamente percepite
2- L'INPS procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l'anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.

Quindi, in sintesi, in base al combinato disposto delle suddette disposizioni, entrambe espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (si veda anche Cass. n° 328/2002) dal momento che la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all'art. 2033 c.c, le pensioni corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all'interessato, possono in ogni momento essere rettificate dagli enti erogatori in caso di "errore di qualsiasi natura" commesso in sede di attribuzione o di erogazione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita prestazione sia dovuta a dolo dell'interessato.


E' opportuno specificare che l'unica prestazione assistenziale prevista dalla suddetta normativa è l'assegno (già pensione) sociale; per tutte le altre, bisogna fare riferimento a quanto scrissi QUI.

Qualcuno, me compreso, si era posto il dubbio se, per invocare l'irripetibilità delle somme richieste dall'INPS, dovessero coesistere i requisiti richiesti dai commi 1 e 2 dell'art. 13 L. 412/1992; in pratica se, oltre all'elemento oggettivo e soggettivo, dovesse anche essere rispettato quello cronologico, ovvero il passaggio di più di un anno dalla comunicazione della situazione reddituale da parte del pensionato.

Anche sulla scorta di un consolidato indirizzo giurisprudenziale si è giunti alla conclusione che le ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 13 L. 412/1991 non devono necessariamente coesistere con quella del comma 2 e che quest'ultima si applica solamente alle ipotesi di indebiti di tipo reddituale (misura o diritto della prestazione).

Ad ulteriore conferma di quanto sopra, segnalo la recentissima sentenza della Cassazione n° 482/2017 in cui, in estrema sintesi, i magistrati hanno dichiarato sic et simpliciter irripetibili alcune somme richieste dall'INPS.

Nel caso specifico in particolare, il supremo collegio ha ravvisato la sussistenza dei soli requisiti previsti dall'art. 52 L. 88/1989 (come interpretato dal comma 1 dell'art. 13 L. 412/1991), non facendo alcun riferimento al criterio temporale introdotto dal successivo comma 2.

A seguire il testo della Sentenza liberamente scaricabile in formato PDF.


Carmine Buonomo