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lunedì 17 marzo 2014

Ricongiunzione o totalizzazione dei contributi?


Due modi alternativi per rimettere assieme tutti i contributi versati nel corso della carriera, in diversi enti o fondi previdenziali. 

Una breve carriera da precario e poi l’assunzione come impiegato pubblico, dopo aver vinto un concorso. 
Oppure dieci anni di duro lavoro da dipendente e poi, finalmente, la decisione di mettersi in proprio e diventare imprenditore o libero professionista con la partita Iva.
Sono situazioni che capitano a parecchi lavoratori italiani, almeno a quelli che sono abituati a cambiare spesso mestiere. 
Di conseguenza, per molti, il calcolo della pensione rischia di diventare una specie di “rebus” visto che in Italia esistono decine di enti e di fondi previdenziali diversi, destinati a particolari categorie professionali.
Ci sono per esempio le casse private dei liberi professionisti (come gli avvocati, i commercialisti o gli architetti) e, fino al 2012, esisteva anche un ente pensionistico creato apposta per gli impiegati pubblici: l’Inpdap, che ora è stato accorpato dall’Inps. 
Ogni istituto segue delle regole diverse per il calcolo degli assegni da liquidare ai futuri pensionati. 
E così, quando decidono di mettersi a riposo, molte persone che hanno alle spalle diverse esperienze di lavoro sono costrette, a fatica, a rimettere assieme tutti i contributi versati in differenti fondi previdenziali. Per riuscirci, ci sono sostanzialmente due modi diversi: la ricongiunzione o, in alternativa, la totalizzazione dei contributi. 
Ecco come funzionano e a chi convengono.

mercoledì 6 novembre 2013

Inps: pensioni d’inabilità contributiva, ok alla totalizzazione



C’è l’ok alla totalizzazione contributiva per la pensione d’inabilità contributiva; ai lavoratori che possono vantare più molteplici periodi contributivi, versati alla gestione lavoratori dipendenti, a quella lavoratori autonomi e alla gestione separata la pensione d’inabilità è liquidata considerando la totalità della contribuzione utile.



Questa è la novità prevista dalla legge di stabilità 2013 e si applica ai lavoratori privati che fanno domanda per la pensione d’inabilità a partire dal 1° gennaio 2013, mentre nel caso di lavoratori pubblici si applica a quanti cessano dal servizio dalla suddetta data nel caso in cui la domanda sia stata presentata in attività di servizio, almeno stando a quanto riporta la circolare n.140/2013 dell'INPS.

La pensione di inabilità scatta nel caso di una grave infermità che determina l’impossibilità assoluta per il lavoratore di compiere ogni attività riguardante il proprio impiego. La prestazione è di natura definitiva e succede all’assegno di invalidità (triennale), in seguito alla cessazione definitiva di ciascuna attività lavorativa e alla rinuncia alle indennità di disoccupazione.

Il requisito minimo per poter beneficiare della pensione di inabilità sono cinque anni di contributi versati all’Inps, ossia almeno 260 contributi settimanali, dei quali tre (cioè 156 contributi settimanali) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. La legge di stabilità 2013 (art. 1, comma 240, della legge n. 228/2012), dichiara l’Inps, ha stabilito che per gli iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria e alle forme sostitutive ed esclusive, la pensione d’inabilità è liquidata considerando la totalità dei contributi utili, purché i lavoratori abbiano maturato i requisiti contributivi per la pensione d’inabilità in una delle predette gestioni.