martedì 15 febbraio 2022

E' illegittima la revoca delle prestazioni assistenziali ai condannati in via definitiva che stiano scontando la pena fuori dal carcere (Corte Costituzionale, Sentenza n° 137/2021)


Al fine di comprendere meglio la decisione della Consulta di cui all'oggetto, pare opportuno ricostruire la disciplina complessivamente prevista dall’art. 2, commi da 58 a 61, della
L. n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero).

Il comma 58 dispone che, nel pronunciare condanna per taluni reati di particolare allarme sociale – quali i reati di associazione terroristica, attentato per finalità terroristiche o di eversione, sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, associazione di stampo mafioso, scambio elettorale, strage e delitti commessi per agevolare le associazioni di stampo mafioso – il giudice applichi, in sentenza, la sanzione accessoria della revoca di una serie determinata di prestazioni assistenziali: indennità di disoccupazione, assegno sociale e prestazioni per gli invalidi civili.

Il comma 59 stabilisce che l’erogazione di tali provvidenze possa essere ripristinata, a domanda dell’interessato e ove ne sussistano i presupposti previsti dalla normativa di riferimento, una volta espiata la pena.

Il comma 60 impone l’obbligo di tempestiva comunicazione all’ente previdenziale competente dei provvedimenti adottati ai sensi del comma 58, ai fini della loro immediata esecuzione.

Il comma 61, infine, prevede che, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il Ministro della giustizia, d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trasmetta agli enti titolari dei relativi rapporti l’elenco dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al comma 58, ai fini della revoca, con effetto non retroattivo, delle prestazioni previste dal medesimo comma 58, primo periodo.

Come si vede, il legislatore, prevede, nelle disposizioni su riportate, uno speciale statuto di indegnità connesso alla commissione di reati di particolare gravità, la quale dovrebbe giustificare, durante l’esecuzione della pena, il venir meno di trattamenti assistenziali che trovano il loro fondamento nel generale dovere di solidarietà dell’intera collettività nei confronti dei soggetti svantaggiati; la ratio della norma, inoltre, si rinverrebbe anche nella considerazione che ai reati ostativi alla fruizione dei benefici faccia da sfondo l’accumulazione, o comunque il possesso, di capitali illeciti, con quei benefici incompatibili.

Con la Sentenza n° 137/2021 la Corte Costituzionale ha riconosciuto che lo “statuto d’indegnità” definito dal legislatore nelle disposizioni su menzionate pone in pericolo la sopravvivenza dignitosa del condannato, privandolo del minimo vitale, in violazione dei principi costituzionali (artt. 2, 3 e 38 Cost.), su cui si fonda il diritto all’assistenza: ciò, in quanto la revoca dei trattamenti assistenziali di cui trattasi può concretamente comportare il rischio che il condannato ammesso a scontare la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere, e che deve quindi sopportare le spese per il proprio mantenimento, non disponga di sufficienti mezzi per vivere.

Il punto di partenza è il dovere di solidarietà economica e sociale configurato dall'art. 38 Cost. laddove prevede che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere abbia diritto al mantenimento e all’assistenza sociale: tale diritto può certamente limitato per legge, con conseguente circoscrizione della platea dei beneficiari delle provvidenze pubbliche, ma le scelte del Legislatore devono rispettare pur sempre il canone di ragionevolezza, senza determinare discriminazione alcuna.

E' invece proprio tale canone di ragionevolezza ad essere violato allorquando il condannato sia ammesso a scontare la pena in regime alternativo al carcere, perché il soggetto ritenuto meritevole di accedere forme alternative di detenzione, viene privato dall'ordinamento dei mezzi per vivere, ottenibili, in virtù dello stato di bisogno, solo dalle prestazioni assistenziali; attiene, invece, alla convivenza civile – sottolinenano i giudici della Consulta - l'assicurare i mezzi per vivere anche a coloro che hanno gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base di detta convivenza.

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui – richiamando il comma 58, primo periodo – prevede la revoca delle prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti di coloro che scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere.


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