mercoledì 7 ottobre 2020

Per il diritto all'assegno sociale è irrilevante la mancata richiesta di mantenimento al coniuge separato (Cass. Ord. n° 14513/2020)

La Corte di Cassazione ha finalmente dato seguito all’orientamento che si stava affermando nella giurisprudenza di merito, cassando la sentenza della Corte d’appello di Ancona che aveva rigettato la domanda della ricorrente volta ad ottenere l’assegno sociale, in quanto “non aveva richiesto al coniuge alcun assegno di mantenimento, anche minimo, in sede di separazione”.

La Suprema Corte non ha condiviso la tesi della Corte territoriale, che “ha in realtà introdotto nell'ordinamento l'ulteriore requisito (rilevante in generale, a livello dell'astratta disciplina legale, quale conditio iuris) dell'obbligo del richiedente l'assegno sociale di rivolgersi previamente al proprio coniuge separato; con effetti inderogabilmente ablativi del diritto all'assegno sociale, in caso di inottemperanza; pur nella accertata sussistenza dei requisiti esplicitamente dettati allo scopo dalla legge. Ma senza che la stessa disciplina contenga alcuna indicazione in tale direzione: dal momento che essa non prevede che la richiesta di assegno di mantenimento al coniuge separato possa rilevare nè ai fini dell'accesso al diritto, nè ai fini della misura dell'assegno sociale. (…) La sentenza impugnata deve allora ritenersi erronea anzitutto laddove, in carenza di qualsiasi previsione di legge, ha ritenuto che la semplice mancanza di richiesta dell'assegno di mantenimento al coniuge separato equivalga ad assenza dello stato bisogno ("ammissione di insussistenza delle condizioni di cui alla L. n. 335 del 1995, cit. art. 3, comma 6") dando luogo al riconoscimento del proprio stato di autosussistenza economica”.

lunedì 28 settembre 2020

Nei giudizi aventi ad oggetto l'indennità di accompagnamento, non è richiesta alcuna dicitura particolare nel certificato medico introduttivo (Trib. Napoli Nord, Sentenza n° 2910/2020)

Ho il piacere di postare questo interessantissimo precedente del Tribunale di Napoli Nord (Sentenza n° 2910/2020, G.L. d.ssa Federica Izzo), reso in un giudizio patrocinato dal nostro studio.

Nel caso specifico, alla ricorrente (infrasessantasettenne) nella fase di ATPO venivano riconosciuti i requisiti sanitari di "non autonomia", necessari per l'invocata indennità di accompagnamento, sin dalla domanda amministrativa.

L'INPS quindi proponeva opposizione all'accertamento sanitario, eccependo la mancanza di idonea domanda amministrativa in ragione del mancato "flag" da parte del medico curante di una o entrambe le voci di non autonomia nel certificato introduttivo.

Interessante l'excursus giurisprudenziale che, partendo dalla giurisprudenza di primo e secondo grado per poi passare a quella recentissima di Cassazione, giungendo infine al Messaggio INPS n° 3383/2019 che ha posto un punto fermo alla questione, viene posto alla base del rigetto dell'opposizione dell'Istituto.

Carmine Buonomo

giovedì 24 settembre 2020

Riconoscimento del c.d. “incremento al milione” agli inabili civili, sordi o ciechi assoluti nonchè inabili ex L. 222/84 (Circolare INPS n° 107 del 23/09/2020)


La
sentenza della Corte Costituzionale n. 152 del 23 giugno 2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 38, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, nella parte in cui, con riferimento agli invalidi civili totali, dispone che l’incremento sia concesso “ai soggetti di età pari o superiore a sessanta anni”e non anche “ai soggetti di età superiore a diciotto anni”.

La citata norma infatti riconosceva un incremento del trattamento pensionistico fino ad € 516,46 al mese per tredici mensilità (c.d. “incremento al milione”) ai titolari di pensione di inabilità (invalidi civili totali, ciechi civili assoluti e sordi) o di pensione di inabilità di cui alla legge n. 222/1984, non prima del compimento del sessantesimo anno di età.

Secondo la Corte Costituzionale il requisito anagrafico di sessanta anni è irragionevole e discriminatorio perché il soggetto totalmente invalido, pur se di età inferiore ai sessanta anni, si trova in una situazione che non è certo meritevole di minor tutela rispetto a quella in cui si troverebbe al compimento del sessantesimo anno di età.

In applicazione di tale pronuncia, il D.L. 14 agosto 2020, n. 104, recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”, prevede, all’articolo 15, che: “Con effetto dal 20 luglio 2020 all'articolo 38, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni, le parole “di età pari o superiore a sessanta anni” sono sostituite dalle seguenti: “di età superiore a diciotto anni”.

Pertanto a decorrere dal 20 luglio 2020, agli invalidi civili totali, ciechi assoluti e sordi, nonchè titolari di pensione di inabilità ex L.222/84 è riconosciuta d’ufficio una maggiorazione economica tale da garantire un reddito complessivo pari, per il 2020, a € 651,51 per tredici mensilità.

REQUISITI REDDITUALI:

Per avere diritto al beneficio sono necessari i seguenti requisiti reddituali (importi 2020):

a) il beneficiario non coniugato deve possedere redditi propri non superiori a € 8.469,63 (pari all’importo massimo moltiplicato per tredici mensilità);

b) il beneficiario coniugato (non effettivamente e legalmente separato) deve possedere, contemporaneamente:

  1)   redditi propri di importo non superiore a € 8.469,63;
 2) redditi cumulati con quello del coniuge di importo annuo non superiore a € 14.447,42.

Se entrambi i coniugi hanno diritto all’incremento, questo concorre al calcolo reddituale. Pertanto, nel caso in cui l’attribuzione del beneficio a uno dei due comporti il raggiungimento del limite di reddito cumulato, nulla è dovuto all’altro coniuge. Se invece il limite non viene raggiunto, l’importo dell’aumento da corrispondere a un coniuge deve tener conto del reddito cumulato comprensivo dell’aumento già riconosciuto all’altro.

mercoledì 9 settembre 2020

La mancata proposizione del ricorso amministrativo non costituisce condizione di proponibilità della domanda giudiziale (Tribunale Napoli Nord, ordinanza R.G. 1094/2020)

Cosa succede quando un cittadino, nel ricorrere in giudizio avverso il mancato riconoscimento di una prestazione previdenziale o assistenziale, abbia omesso di presentare il previo ricorso amministrativo o abbia comunque agito in altro modo (es. inviando una pec in autotutela)?
Secondo l'INPS il relativo giudizio andrebbe irrimediabilmente dichiarato "improcedibile".
Secondo la giurisprudenza della Cassazione (sentenza n° 15797/2001, n° 2721/2012 e da ultima ordinanza n° 19481/2018), invece, "i ricorsi gerarchici interni non costituiscono più, dopo la riforma del 1973, un passaggio obbligato per giungere alla tutela giurisdizionale, ma rappresentano, oramai, un sistema di rimedi giuridici collaterali all'azione, a disposizione del cittadino e più a tutela dell'amministrazione che del cittadino stesso, capaci di influire sul processo solo in via di sospensione".     
Sul punto vorrei segnalare un'interessantissima ordinanza del Tribunale di Napoli Nord, resa in un giudizio patrocinato dal nostro studio.
Nel caso de qua, si controverteva su un mancato riconoscimento di ratei di assegno ordinario di invalidità L. 222/1984. 
L'assistito (che si era rivolto al nostro studio solo dopo che erano decorsi i termini per il ricorso amministrativo), aveva autonomamente agito in autotutela avverso il provvedimento di reiezione tramite pec.
L'INPS quindi si costituiva chiedendo l'improcedibilità del ricorso per non aver il cittadino presentato ricorso online nei 90 giorni dalla reiezione della domanda.
Il Giudice, all'esito della precedente udienza, aveva rinviato la causa, onerando parte ricorrente a produrre la prova documentale del previo esperimento del ricorso amministrativo avverso il provvedimento di diniego INPS.
All'udienza cartolare del 08/09/2020 la presente difesa, citando la summensionata giurisprudenza della S.C. ed il combinato disposto degli artt. 7 e 8 L. 533/73, 148 disp. att. cpc, e 443 cpc, insisteva nella nomina del CTU o, in via subordinata, chiedeva l'eventuale sospensione del giudizio per la presentazione del ricorso amministrativo.
La sempre attentissima ed impeccabile d.ssa Fabiana Colameo provvedeva quindi a rigettare l’eccezione dell’inps, nominando il CTU con la seguente motivazione: "... alla data della odierna udienza cartolare è ormai decorso il termine per la proposizione del ricorso amministrativo; considerato che, in ogni caso, la mancata proposizione del ricorso amministrativo non costituisce condizione di proponibilità della domanda giudiziaria".    
Cosa dire? Anche questa volta, grazie ad un magistrato attento, preparato e scevro da pregiudizi in favore dell'ente pubblico, giustizia è fatta!!!  

Carmine Buonomo




mercoledì 2 settembre 2020

Notifica a mezzo PEC agli indirizzi risultanti dall' IPA ex art. 28 D.L. 76/2020: facsimile nota di accompagnamento e relata di notifica

Come detto già QUI, l’art. 28 del D.L. 76 del 16 Luglio 2020 consente all’Indice dei Domicili Digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei Gestori di Pubblici Servizi (IPA) di uscire -quasi - definitivamente da quel limbo kafkiano che lo perseguita sin dalla sua nascita.

La norma in parola, concede 90 giorni di tempo al Ministero della Giustizia rectius: alla sua emanazione tecnica, la D.G.S.I.A.) per predisporre delle “specifiche tecniche” che consentano di adeguare il già esistente (ma non completamente popolato) Registro delle PP.AA.; tale registro, per intendersi, è quello attualmente accessibile tramite il P.S.T. (tecnicamente il nome esatto è: Registro contenente gli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle Amministrazioni Pubbliche, costituito ai sensi del D.L. 179/2012, Art. 16, comma 12);

Ora, sino a quando tale adeguamento non sarà effettuato dalla D.G.S.I.A., i Colleghi potranno utilizzare gli indirizzi PEC risultanti dal nuovo (o meglio, ora ‘maturo’) IPA, vale a dire l’Indice dei Domicili Digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei Gestori di Pubblici Servizi.

A tutt'oggi, mentre l'INAIL già dal 2016 ha regolarmente comunicato la propria PEC univoca al Registro PP.AA. ("notifiche_comunicazioni@postacert.inail.it") (LINK), questo non è avvenuto per l'INPS.

Va da sè che, ai fini della valida notifica a mezzo PEC ed in attesa che l'INPS si decida a comunicare la propria PEC al registro PP.AA., i colleghi potranno tranquillamente utilizzare gli indirizzi PEC risultanti dall'Indice delle Pubbliche Amministrazioni.

Ricordo, inoltre, che la prova in giudizio dell'avvenuta notifica a mezzo PEC, negli uffici giudiziari abilitati al processo telematico, non può assolutamente essere fornita con la semplice stampa delle ricevute di consegna e di accettazione.

In questi casi infatti, bisogna salvare le relative ricevute in formato .eml o .msg ed inviarle (con una nota di accompagnamento in formato .pdf) nel relativo fascicolo telematico: solo così, infatti, il Giudice potrà "accedere materialmente" nella pec inviata e verificare i files trasmessi, gli indirizzi destinatari e data, ora ed esito della notifica.

Ritenendo di fare cosa gradita, provvedo quindi ad allegare un facsimile della nota di accompagnamento dei files in formato .eml e di una relata di notifica.