Massima non ufficiale: Il decreto di omologa del requisito sanitario o la sentenza che conclude il giudizio contenzioso conseguente alle contestazioni, non incidono sulle situazioni giuridiche soggettive perché non conferiscono né negano alcun diritto, dal momento che non statuiscono sulla spettanza della prestazione richiesta e sul conseguente obbligo dell'Inps di erogarla.
Quando il procedimento si concluda con la verifica della inesistenza della invalidità, il giudizio si chiude, non essendovi più nulla da accertare, essendo evidente che la prestazione richiesta non compete.
Quando invece, o attraverso la fase di omologa o attraverso quella contenziosa, si accerti l'esistenza di una invalidità che conferisce il diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale richiesta, si apre necessariamente la fase successiva, quella cioè concernente la verifica delle ulteriori condizioni poste dalla legge per il suo riconoscimento.
La legge non descrive espressamente i lineamenti di questa ulteriore fase, onerando semplicemente l'ente di previdenza di procedere al pagamento della prestazione entro 120 giorni, previa verifica, in sede amministrativa, di detti ulteriori requisiti.
Ove l'ente di previdenza non provveda alla liquidazione della prestazione, la parte istante sarà tenuta a proporre un nuovo giudizio, che è a cognizione piena, ancorché limitato (essendo ormai intangibile l'accertamento sanitario) appunto alla verifica della esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta.
Il relativo giudizio, si concluderà, con una sentenza che, in assenza di contrarie indicazioni della legge, sarà soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, che dovranno ovviamente incentrarsi solo sulla verifica dei requisiti diversi dall'invalidità.
Sono del tutto ininfluenti i rilievi (eventualmente errati) del giudice contenuti nel decreto di omologa, perché in detto provvedimento il giudice medesimo deve "necessariamente" limitarsi ad asseverare le conclusioni del CTU, e sono queste, e solo queste, che concludono la fase preliminare ove non siano state sollevate contestazioni.
Con riguardo alla disciplina del procedimento ex art. 445-bis cpc per il conseguimento delle prestazioni assistenziali e previdenziali connesse allo stato di invalidità, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il decreto di omologazione dell'accertamento del requisito sanitario operato dal c.t.u., limitatamente alla statuizione sulle spese, sia legali che di consulenza, trattandosi, solo in parte qua, di provvedimento definitivo, di carattere decisorio, incidente sui diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile.
Quando il procedimento si concluda con la verifica della inesistenza della invalidità, il giudizio si chiude, non essendovi più nulla da accertare, essendo evidente che la prestazione richiesta non compete.
Quando invece, o attraverso la fase di omologa o attraverso quella contenziosa, si accerti l'esistenza di una invalidità che conferisce il diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale richiesta, si apre necessariamente la fase successiva, quella cioè concernente la verifica delle ulteriori condizioni poste dalla legge per il suo riconoscimento.
La legge non descrive espressamente i lineamenti di questa ulteriore fase, onerando semplicemente l'ente di previdenza di procedere al pagamento della prestazione entro 120 giorni, previa verifica, in sede amministrativa, di detti ulteriori requisiti.
Ove l'ente di previdenza non provveda alla liquidazione della prestazione, la parte istante sarà tenuta a proporre un nuovo giudizio, che è a cognizione piena, ancorché limitato (essendo ormai intangibile l'accertamento sanitario) appunto alla verifica della esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta.
Il relativo giudizio, si concluderà, con una sentenza che, in assenza di contrarie indicazioni della legge, sarà soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, che dovranno ovviamente incentrarsi solo sulla verifica dei requisiti diversi dall'invalidità.
Sono del tutto ininfluenti i rilievi (eventualmente errati) del giudice contenuti nel decreto di omologa, perché in detto provvedimento il giudice medesimo deve "necessariamente" limitarsi ad asseverare le conclusioni del CTU, e sono queste, e solo queste, che concludono la fase preliminare ove non siano state sollevate contestazioni.
Con riguardo alla disciplina del procedimento ex art. 445-bis cpc per il conseguimento delle prestazioni assistenziali e previdenziali connesse allo stato di invalidità, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il decreto di omologazione dell'accertamento del requisito sanitario operato dal c.t.u., limitatamente alla statuizione sulle spese, sia legali che di consulenza, trattandosi, solo in parte qua, di provvedimento definitivo, di carattere decisorio, incidente sui diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Sesta Civile, Presidente e Relatore M. La Terza
Svolgimento del processo
Con decreto in data 30 novembre 2012, emesso ai sensi dell'art. 445 bis cod. proc. civ., il Giudice del lavoro del Tribunale di Potenza, accertata la mancanza di contestazioni mosse dalle parti, omologava l'accertamento del requisito sanitario indicato nella relazione del CTU, ossia la totale e permanente inabilità lavorativa al 100% ma senza necessità di assistenza continua in capo a M****, che aveva proposto il ricorso per l'accertamento tecnico preventivo (ATP). Con lo stesso decreto il Giudice poneva carico del M**** le spese processuali liquidate in complessivi euro 750 per diritti e onorari oltre accessori, mentre poneva a carico dell'Inps le spese della CTU liquidate come da separato decreto. Avverso detto decreto l'Inps propone ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione, affidato a due motivi. La controparte non è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo l'Istituto denunzia violazione degli artt. 112 e 324 cod. proc. civ., 2697 cod.
civ. in relazione all'art. 1 legge 222/84 ed all'art. 445 bis del codice di procedura civile. Chiede l'Inps di decidere se il giudice, competente a conoscere l'istanza di accertamento tecnico preventivo per la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la domanda di assegno di invalidità ex art. 1 legge 222/84, debba o no verificare preliminarmente la sussistenza dei presupposti dell'azione, la carenza dei quali precluderebbe comunque alla parte privata di beneficiare della prestazione, anche ove fosse perfezionato il requisito sanitario.
Spetterebbe quindi al giudice, prima ancora di procedere alla consulenza medica, di accertare i seguenti elementi: l'esistenza della domanda amministrativa di riconoscimento della prestazione; l'esperimento dei ricorsi amministrativi; la proposizione della istanza di accertamento tecnico preventivo nel rispetto del termine decadenziale di cui all'art. 42 terzo comma DL 269/2003, convertito in legge 326/2003; la litispendenza; l'esistenza di una precedente domanda amministrativa non ancora definita che, ai sensi dell'art.11 legge 222/84 e dell'art. 56 legge 69/2009, precluderebbe l'ulteriore iter della successiva domanda cui si riferisce l'ATP; il già avvenuto riconoscimento e/o liquidazione della prestazione reclamata con I' ATP, e l' esistenza di un precedente giudicato afferente al periodo a cui l' ATP si riferisce; l'incompetenza territoriale del giudice adito; l'età del richiedente, che in alcuni casi precluderebbe a priori il riconoscimento della prestazione. In mancanza della verifica di detti presupposti, sostiene l'Istituto, sarebbe inutile il conferimento dell'incarico al CTU, come previsto dal citato art. 445 bis, con conseguente dispendio di attività e di spese, che potrebbero essere poste, in sede di omologa a carico di esso Istituto, nonostante si verifichi poi la insussistenza del diritto alla prestazione.
In particolare, nel caso di specie, il giudice sarebbe incorso nella violazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., non avendo tenuto conto della eccezione di esso Istituto formulata nella memoria difensiva, di inammissibilità dell'azione per violazione del principio del "ne bis in idem" per essere ancora pendente davanti alla Corte d'appello di Potenza il giudizio avverso la sentenza del Tribunale di Melfi 466/2011, che aveva riconosciuto il diritto all'assegno ordinario di invalidità dal primo gennaio 2009, ossia il diritto alla medesima prestazione di cui il M**** aveva chiesto il ripristino dal novembre 2011 con il ricorso per ATP. Il Giudice della omologa avrebbe anche errato nel non verificare preliminarmente l'esistenza della domanda amministrativa.
Il Giudice della omologa sarebbe incorso altresì nel vizio di ultra petizione ex art. 112 cod. proc. perchè, a fronte del ricorso per ATP volto ad ottenere il riconoscimento dell' assegno ordinario di invalidita ai sensi della legge 222/84, avrebbe erroneamente supposto che fosse stata chiesta l'indennità di accompagnamento, avendo fatto riferimento ai lineamenti tipici di questa prestazione assistenziale, avendo cioè attestato che sussisteva la totale inabilita lavorativa rna non la necessita di assistenza continua. Cosi facendo, sottolinea l'Istituto, aveva anche disatteso le conclusioni del CTU, il quale, in relazione alla richiesta di assegno ordinario di invalidita, aveva ritenuto il M**** « non invalido all'epoca della visita di revisione da parte dei sanitari Inps dell'ottobre 2011» .
Esso Istituto, che non aveva mosso contestazioni nei confronti delle conclusioni del CTU in quanto favorevoli perche convergenti con il provvedimento di sospensione dell'assegno nell'ottobre 2011, aveva invece interesse ad impugnare il decreto di omologa attestante "la totale e permanente inabilita lavorativa del 100%" perche ciò poteva pregiudicare sia il successivo iter dell' ATP, sia il citato giudizio ordinario davanti alla Corte d'appello di Potenza.
civ. in relazione all'art. 1 legge 222/84 ed all'art. 445 bis del codice di procedura civile. Chiede l'Inps di decidere se il giudice, competente a conoscere l'istanza di accertamento tecnico preventivo per la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la domanda di assegno di invalidità ex art. 1 legge 222/84, debba o no verificare preliminarmente la sussistenza dei presupposti dell'azione, la carenza dei quali precluderebbe comunque alla parte privata di beneficiare della prestazione, anche ove fosse perfezionato il requisito sanitario.
Spetterebbe quindi al giudice, prima ancora di procedere alla consulenza medica, di accertare i seguenti elementi: l'esistenza della domanda amministrativa di riconoscimento della prestazione; l'esperimento dei ricorsi amministrativi; la proposizione della istanza di accertamento tecnico preventivo nel rispetto del termine decadenziale di cui all'art. 42 terzo comma DL 269/2003, convertito in legge 326/2003; la litispendenza; l'esistenza di una precedente domanda amministrativa non ancora definita che, ai sensi dell'art.11 legge 222/84 e dell'art. 56 legge 69/2009, precluderebbe l'ulteriore iter della successiva domanda cui si riferisce l'ATP; il già avvenuto riconoscimento e/o liquidazione della prestazione reclamata con I' ATP, e l' esistenza di un precedente giudicato afferente al periodo a cui l' ATP si riferisce; l'incompetenza territoriale del giudice adito; l'età del richiedente, che in alcuni casi precluderebbe a priori il riconoscimento della prestazione. In mancanza della verifica di detti presupposti, sostiene l'Istituto, sarebbe inutile il conferimento dell'incarico al CTU, come previsto dal citato art. 445 bis, con conseguente dispendio di attività e di spese, che potrebbero essere poste, in sede di omologa a carico di esso Istituto, nonostante si verifichi poi la insussistenza del diritto alla prestazione.
In particolare, nel caso di specie, il giudice sarebbe incorso nella violazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., non avendo tenuto conto della eccezione di esso Istituto formulata nella memoria difensiva, di inammissibilità dell'azione per violazione del principio del "ne bis in idem" per essere ancora pendente davanti alla Corte d'appello di Potenza il giudizio avverso la sentenza del Tribunale di Melfi 466/2011, che aveva riconosciuto il diritto all'assegno ordinario di invalidità dal primo gennaio 2009, ossia il diritto alla medesima prestazione di cui il M**** aveva chiesto il ripristino dal novembre 2011 con il ricorso per ATP. Il Giudice della omologa avrebbe anche errato nel non verificare preliminarmente l'esistenza della domanda amministrativa.
Il Giudice della omologa sarebbe incorso altresì nel vizio di ultra petizione ex art. 112 cod. proc. perchè, a fronte del ricorso per ATP volto ad ottenere il riconoscimento dell' assegno ordinario di invalidita ai sensi della legge 222/84, avrebbe erroneamente supposto che fosse stata chiesta l'indennità di accompagnamento, avendo fatto riferimento ai lineamenti tipici di questa prestazione assistenziale, avendo cioè attestato che sussisteva la totale inabilita lavorativa rna non la necessita di assistenza continua. Cosi facendo, sottolinea l'Istituto, aveva anche disatteso le conclusioni del CTU, il quale, in relazione alla richiesta di assegno ordinario di invalidita, aveva ritenuto il M**** « non invalido all'epoca della visita di revisione da parte dei sanitari Inps dell'ottobre 2011» .
Esso Istituto, che non aveva mosso contestazioni nei confronti delle conclusioni del CTU in quanto favorevoli perche convergenti con il provvedimento di sospensione dell'assegno nell'ottobre 2011, aveva invece interesse ad impugnare il decreto di omologa attestante "la totale e permanente inabilita lavorativa del 100%" perche ciò poteva pregiudicare sia il successivo iter dell' ATP, sia il citato giudizio ordinario davanti alla Corte d'appello di Potenza.
2. Con il secondo mezzo si censura il decreto per violazione degli artt. 91, 92, 113 e 116 cod. proc.
civ. e 152 disp. att. e dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'art. 445 bis quinto comma del codice di procedura civile e, premesso che le spese legali erano state poste a carico del M****, lamenta che esso Istituto, nonostante fosse parte totalmente vittoriosa, sia stato condannato al pagamento delle spese della consulenza tecnica.
Sottolinea l'Istituto che la parte privata, ove soccombente nelle controversie previdenziali ed assistenziali, può essere esonerata dal pagamento delle spese legali e di consulenza solo ove nel ricorso introduttivo abbia formulato apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione di titolarità, nell' anno precedente a quello della pronuncia, di redditi Irpef inferiori ai limiti previsti dalla norma.
Nella specie il M**** non aveva assolto l'onere di formulare, nel ricorso introduttivo, la dichiarazione sostitutiva di certificazione della sua situazione reddituale al fine di ottenere l'esenzione dal pagamento delle spese, ivi comprese quelle di consulenza, come richiesto dall'art. 152 disp. att. cod. proc. civ ..
civ. e 152 disp. att. e dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'art. 445 bis quinto comma del codice di procedura civile e, premesso che le spese legali erano state poste a carico del M****, lamenta che esso Istituto, nonostante fosse parte totalmente vittoriosa, sia stato condannato al pagamento delle spese della consulenza tecnica.
Sottolinea l'Istituto che la parte privata, ove soccombente nelle controversie previdenziali ed assistenziali, può essere esonerata dal pagamento delle spese legali e di consulenza solo ove nel ricorso introduttivo abbia formulato apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione di titolarità, nell' anno precedente a quello della pronuncia, di redditi Irpef inferiori ai limiti previsti dalla norma.
Nella specie il M**** non aveva assolto l'onere di formulare, nel ricorso introduttivo, la dichiarazione sostitutiva di certificazione della sua situazione reddituale al fine di ottenere l'esenzione dal pagamento delle spese, ivi comprese quelle di consulenza, come richiesto dall'art. 152 disp. att. cod. proc. civ ..
Il primo motivo è inammissibile.
3. Vanno preliminarmente illustrati i lineamenti dell'art. 445 bis del codice di procedura civile, che è stato introdotto dall'art. 38 del DL n. 98/2011 convertito in legge n. 111/2011.
Il tratto essenziale è la disposta scissione, in due diverse fasi, delle controversie intese al conseguimento delle prestazioni assistenziali e previdenziali connesse allo stato di invalidità.
Mentre con la legislazione previgente occorreva verificare, in un ''unico'' giudizio, la ricorrenza sia dello stato di invalidità, sia dei requisiti non sanitari prescritti dalla legge come condizioni per il diritto alIa prestazione richiesta, con la nuova disposizione le controversie relative alle prestazioni previdenziali ed assistenziali si scindono invece in due diverse fasi : quella concernente l'accertamento sanitario, regolata da un rito speciale ( a contraddittorio posticipato ed eventuale) e quella ( non giudiziale, ma eventualmente anche giudiziale) di concessione della prestazione, in cui va verificata l'esistenza dei requisiti non sanitari.
3.1. La nuova disposizione "impone", per tutte le controversie in cui si intenda far valere il diritto a prestazioni assistenziali e previdenziali (invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilita e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222), che il ricorrente debba proporre al giudice istanza di accertamento tecnico per la verifica "preventiva" ( ATP) delle condizioni sanitarie che la legge ricollega alla prestazione richiesta. L'espletamento di questo accertamento tecnico preventivo e condizione di procedibilità della domanda diretta al riconoscimento delle prestazioni, prova ne sia il fatto che, ove non compiuto o non completato, il giudice è tenuto ad assegnare termine per il suo compimento o completamento.
Si apre quindi in via preventiva un procedimento, obbligatorio, inteso esclusivamente alla verifica delle condizioni sanitarie, che segue le regole di cui all'art. 696 bis del medesimo codice ed all'art. 10 comma 6 bis DL 203/2005 convertito in legge 248/2005.
Nella istanza di ATP il ricorrente deve quindi indicare esclusivamente la prestazione previdenziale
o assistenziale richiesta e le sue condizioni di salute, questi sono infatti gli unici dati rilevanti in questa fase di verifica della invalidità.
3.2. Indi, secondo le ordinarie regole processuali, viene dato incarico ad un consulente medico, le cui conclusioni sono comunicate alle parti, con l'invito a dichiarare, entro un certo termine, se intendono muovere contestazioni.
A questo punto si aprono, in via alternativa, i seguenti casi: o la definitività del parere espresso dal CTU o l' apertura di un procedimento contenzioso concernente ancora esclusivamente il requisito sanitario.
3.3. La prima: ove nessuna delle parti muova contestazioni, il giudice "omologa" l'accertamento del requisito sanitario, emettendo un decreto "non impugnabile né modificabile". La sussistenza del requisito sanitario nei termini espressi dal CTU ovvero la sua inesistenza, se non vengono proposte contestazioni, diventa quindi intangibile. In questa fase la decisione è rimessa esclusivamente al consulente medico, senza possibilità per il giudice di discostarsi dal suo parere. Unica facoltà che al giudice residua è quella di cui all'art. 196 cod. proc. civ. di disporre la rinnovazione delle indagini o di sostituire il consulente, di talché l'accertamento delle condizioni sanitarie, in questa fase, è integralmente sottratto all'apprezzamento del giudice che è astretto al parere dell'esperto.
Avverso il decreto di omologa (che segue appunto automaticamente nel caso in cui non sorgano contestazioni), non vi sono rimedi, giacché questo è espressamente dichiarato "non impugnabile", quindi non soggetto ad appello, ne al ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione, giacché il rimedio concesso a chi intenda contestare le conclusioni del CTU c'e, ma si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia "prima" della omologa e nel termine fissato dal giudice per muovere contestazioni alla consulenza. In assenza di contestazioni si chiude quindi definitivamente la fase dell' accertamento sanitario, giacché le conclusioni del CTU sono ormai definitive.
Il che si spiega considerando che sarebbe evidentemente illogico attribuire qualunque rimedio impugnatorio avverso l' omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, quando le era concesso di farlo, non ha contestato le conclusioni del CTU su cui la medesima omologa si fonda.
3.4. Se invece una delle parti contesta le conclusioni del CTU, si apre un procedimento contenzioso, con onere della parte dissenziente di proporre ricorso al giudice, in un termine perentorio, ricorso in cui, a pena di inammissibilità, deve specificare i motivi della contestazione alle conclusioni del perito.
Si apre cosi una nuova fase contenziosa, ancora limitata "solo" alla discussione sulla invalidità, fase peraltro circoscritta agli elementi di contestazione proposti dalla parte dissenziente (ricorrente). In questa fase contenziosa si rimettono quindi in discussione le conclusioni cui il CTU era pervenuto nella fase anteriore ed il giudice può disporre ulteriori accertamenti, nonché apprezzare direttamente anche le questioni sanitarie, secondo il ruolo classico di peritus peritorum.
Questa fase contenziosa ( appunto successiva ed eventuale, che si apre solo al cospetto di contestazioni all' ATP) si chiude con una sentenza, la quale non è appellabile. La non appellabilità e stata sancita dall'art. 27 comma 1 lettera f) della legge 183/2011, che ha aggiunto il comma 7 all'art. 445 bis del codice.
Ne consegue che non dovrebbero più discutersi in appello questioni concernenti lo stato di invalidità perche o, in assenza di contestazioni, vi e stata la omologa, non impugnabile né modificabile, oppure - secondo caso - la contestazione vi e stata e si e aperto il procedimento contenzioso terminato con sentenza la quale non e soggetta ad appello.
Il tratto essenziale è la disposta scissione, in due diverse fasi, delle controversie intese al conseguimento delle prestazioni assistenziali e previdenziali connesse allo stato di invalidità.
Mentre con la legislazione previgente occorreva verificare, in un ''unico'' giudizio, la ricorrenza sia dello stato di invalidità, sia dei requisiti non sanitari prescritti dalla legge come condizioni per il diritto alIa prestazione richiesta, con la nuova disposizione le controversie relative alle prestazioni previdenziali ed assistenziali si scindono invece in due diverse fasi : quella concernente l'accertamento sanitario, regolata da un rito speciale ( a contraddittorio posticipato ed eventuale) e quella ( non giudiziale, ma eventualmente anche giudiziale) di concessione della prestazione, in cui va verificata l'esistenza dei requisiti non sanitari.
3.1. La nuova disposizione "impone", per tutte le controversie in cui si intenda far valere il diritto a prestazioni assistenziali e previdenziali (invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilita e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222), che il ricorrente debba proporre al giudice istanza di accertamento tecnico per la verifica "preventiva" ( ATP) delle condizioni sanitarie che la legge ricollega alla prestazione richiesta. L'espletamento di questo accertamento tecnico preventivo e condizione di procedibilità della domanda diretta al riconoscimento delle prestazioni, prova ne sia il fatto che, ove non compiuto o non completato, il giudice è tenuto ad assegnare termine per il suo compimento o completamento.
Si apre quindi in via preventiva un procedimento, obbligatorio, inteso esclusivamente alla verifica delle condizioni sanitarie, che segue le regole di cui all'art. 696 bis del medesimo codice ed all'art. 10 comma 6 bis DL 203/2005 convertito in legge 248/2005.
Nella istanza di ATP il ricorrente deve quindi indicare esclusivamente la prestazione previdenziale
o assistenziale richiesta e le sue condizioni di salute, questi sono infatti gli unici dati rilevanti in questa fase di verifica della invalidità.
3.2. Indi, secondo le ordinarie regole processuali, viene dato incarico ad un consulente medico, le cui conclusioni sono comunicate alle parti, con l'invito a dichiarare, entro un certo termine, se intendono muovere contestazioni.
A questo punto si aprono, in via alternativa, i seguenti casi: o la definitività del parere espresso dal CTU o l' apertura di un procedimento contenzioso concernente ancora esclusivamente il requisito sanitario.
3.3. La prima: ove nessuna delle parti muova contestazioni, il giudice "omologa" l'accertamento del requisito sanitario, emettendo un decreto "non impugnabile né modificabile". La sussistenza del requisito sanitario nei termini espressi dal CTU ovvero la sua inesistenza, se non vengono proposte contestazioni, diventa quindi intangibile. In questa fase la decisione è rimessa esclusivamente al consulente medico, senza possibilità per il giudice di discostarsi dal suo parere. Unica facoltà che al giudice residua è quella di cui all'art. 196 cod. proc. civ. di disporre la rinnovazione delle indagini o di sostituire il consulente, di talché l'accertamento delle condizioni sanitarie, in questa fase, è integralmente sottratto all'apprezzamento del giudice che è astretto al parere dell'esperto.
Avverso il decreto di omologa (che segue appunto automaticamente nel caso in cui non sorgano contestazioni), non vi sono rimedi, giacché questo è espressamente dichiarato "non impugnabile", quindi non soggetto ad appello, ne al ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione, giacché il rimedio concesso a chi intenda contestare le conclusioni del CTU c'e, ma si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia "prima" della omologa e nel termine fissato dal giudice per muovere contestazioni alla consulenza. In assenza di contestazioni si chiude quindi definitivamente la fase dell' accertamento sanitario, giacché le conclusioni del CTU sono ormai definitive.
Il che si spiega considerando che sarebbe evidentemente illogico attribuire qualunque rimedio impugnatorio avverso l' omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, quando le era concesso di farlo, non ha contestato le conclusioni del CTU su cui la medesima omologa si fonda.
3.4. Se invece una delle parti contesta le conclusioni del CTU, si apre un procedimento contenzioso, con onere della parte dissenziente di proporre ricorso al giudice, in un termine perentorio, ricorso in cui, a pena di inammissibilità, deve specificare i motivi della contestazione alle conclusioni del perito.
Si apre cosi una nuova fase contenziosa, ancora limitata "solo" alla discussione sulla invalidità, fase peraltro circoscritta agli elementi di contestazione proposti dalla parte dissenziente (ricorrente). In questa fase contenziosa si rimettono quindi in discussione le conclusioni cui il CTU era pervenuto nella fase anteriore ed il giudice può disporre ulteriori accertamenti, nonché apprezzare direttamente anche le questioni sanitarie, secondo il ruolo classico di peritus peritorum.
Questa fase contenziosa ( appunto successiva ed eventuale, che si apre solo al cospetto di contestazioni all' ATP) si chiude con una sentenza, la quale non è appellabile. La non appellabilità e stata sancita dall'art. 27 comma 1 lettera f) della legge 183/2011, che ha aggiunto il comma 7 all'art. 445 bis del codice.
Ne consegue che non dovrebbero più discutersi in appello questioni concernenti lo stato di invalidità perche o, in assenza di contestazioni, vi e stata la omologa, non impugnabile né modificabile, oppure - secondo caso - la contestazione vi e stata e si e aperto il procedimento contenzioso terminato con sentenza la quale non e soggetta ad appello.
4. Quanto finora detto si riferisce esclusivamente alla fase di accertamento dello stato invalidante, ma non riguarda la fase successiva, relativa al riconoscimento del diritto alla prestazione assistenziale o previdenziale richiesta.
Si comprende che quando il procedimento relativo alla verifica delle condizioni sanitarie (omologa, o conclusione del giudizio contenzioso conseguente alle contestazioni) si concluda con la verifica della inesistenza della invalidità, il giudizio si chiude, non essendovi più nulla da accertare, essendo evidente che la prestazione richiesta non compete.
Quando invece, o attraverso la fase di omologa o attraverso quella contenziosa, si accerti l'esistenza di una invalidità che conferisce il diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale richiesta, si apre necessariamente la fase successiva, quella cioè concernente la verifica delle ulteriori condizioni poste dalla legge per il suo riconoscimento.
La legge non descrive espressamente i lineamenti di questa ulteriore fase, onerando semplicemente l'ente di previdenza di procedere al pagamento della prestazione entro 120 giorni, previa verifica, in sede amministrativa, di detti ulteriori requisiti.
A questo punto spetterà all' ente previdenziale di compiere tale verifica, ancorché in molti casi essa debba essere effettuata alla luce di elementi probatori che è necessariamente onere della parte interessata di fornire ( ad es. limiti reddituali).
Ne deriva ancora che, ove l'ente di previdenza non provveda alla liquidazione della prestazione, la parte istante sarà tenuta a proporre un nuovo giudizio, che è a cognizione piena, ancorché limitato (essendo ormai intangibile l'accertamento sanitario) appunto alla verifica della esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta.
Il relativo giudizio, si concluderà, con una sentenza che, in assenza di contrarie indicazioni della legge, sarà soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, che dovranno ovviamente incentrarsi solo sulla verifica dei requisiti diversi dall'invalidità.
Si comprende che quando il procedimento relativo alla verifica delle condizioni sanitarie (omologa, o conclusione del giudizio contenzioso conseguente alle contestazioni) si concluda con la verifica della inesistenza della invalidità, il giudizio si chiude, non essendovi più nulla da accertare, essendo evidente che la prestazione richiesta non compete.
Quando invece, o attraverso la fase di omologa o attraverso quella contenziosa, si accerti l'esistenza di una invalidità che conferisce il diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale richiesta, si apre necessariamente la fase successiva, quella cioè concernente la verifica delle ulteriori condizioni poste dalla legge per il suo riconoscimento.
La legge non descrive espressamente i lineamenti di questa ulteriore fase, onerando semplicemente l'ente di previdenza di procedere al pagamento della prestazione entro 120 giorni, previa verifica, in sede amministrativa, di detti ulteriori requisiti.
A questo punto spetterà all' ente previdenziale di compiere tale verifica, ancorché in molti casi essa debba essere effettuata alla luce di elementi probatori che è necessariamente onere della parte interessata di fornire ( ad es. limiti reddituali).
Ne deriva ancora che, ove l'ente di previdenza non provveda alla liquidazione della prestazione, la parte istante sarà tenuta a proporre un nuovo giudizio, che è a cognizione piena, ancorché limitato (essendo ormai intangibile l'accertamento sanitario) appunto alla verifica della esistenza di tutti i requisiti non sanitari prescritti dalla legge per il diritto alla prestazione richiesta.
Il relativo giudizio, si concluderà, con una sentenza che, in assenza di contrarie indicazioni della legge, sarà soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, che dovranno ovviamente incentrarsi solo sulla verifica dei requisiti diversi dall'invalidità.
5. Nel caso in esame conviene preliminarmente sgombrare il campo dalla questione relativa alla difformità tra il parere espresso dal CTU ed il contenuto del decreto di omologa.
E' stato emanato il 30 novembre 2012 il decreto di omologa da parte del Tribunale di Potenza, segno quindi che l'Istituto, come peraltro espressamente ammesso, non ha mosso contestazioni alla CTU.
Nella omologa delle conclusioni del CTU il giudice ha dato atto che l'ausiliare aveva accertato "la totale e permanente inabilita lavorativa del 100%, senza necessita di assistenza continua", e tale statuizione, sostiene l'Inps, sarebbe erronea, perché non corrispondente al parere del consulente, che si era espresso sull' esistenza del requisito sanitario concernente la diversa prestazione richiesta, e cioè non già l'indennità di accompagnamento, ma l'assegno ordinario di invalidità di cui all' art. 1 legge 222/84.
Si rileva che effettivamente il consulente aveva concluso testualmente nel senso che« In definitiva l'obiettivita clinica e le indagini strumentali, esibite all'atto della visita medica effettuata dai sanitari Inps e nel corso del presente incarico peritale, a mio parere, non determinavano e non determinano allo stato, una decurtazione della capacita lavorativa tale da permettere il riconoscimento dell'assegno ordinario di invalidità e giustificavano pertanto il giudizio di non invalidità espresso. Per quanto sopra, per effetto del complesso patologico accertato si ritiene che il ricorrente sia da ritenere non invalido all'epoca della visita di revisione da parte dei sanitari dell'Inps dell'ottobre 2011».
Vi e quindi una discrasia tra il parere del CTU ed il decreto di omologa, che non assevera detto parere ma lo modifica, facendo riferimento a questione diversa da quella accertata dall'ausiliare.
La discrasia è irrilevante, dovendosi avere esclusivo riguardo alle conclusioni di cui alla consulenza. Infatti, alla stregua del meccanismo prefigurato dalla legge che sopra si e illustrato, non possono che considerarsi del tutto ininfluenti i rilievi ( eventualmente errati ) del giudice contenuti nel decreto di omologa, perché in detto provvedimento il giudice medesimo deve "necessariamente" limitarsi ad asseverare le conclusioni del CTU, e sono queste, e solo queste, che concludono la fase preliminare ove non siano state sollevate contestazioni. In questo caso, si deve quindi interpretare il decreto di omologa come conferma del parere espresso dal CTU, ossia il giudizio di non invalidità, ai fini del diritto all'assegno ordinario di invalidità, alla data della visita di revisione, mentre resta del tutto irrilevante la diversa indicazione fatta dal giudice nel medesimo decreto.
E' stato emanato il 30 novembre 2012 il decreto di omologa da parte del Tribunale di Potenza, segno quindi che l'Istituto, come peraltro espressamente ammesso, non ha mosso contestazioni alla CTU.
Nella omologa delle conclusioni del CTU il giudice ha dato atto che l'ausiliare aveva accertato "la totale e permanente inabilita lavorativa del 100%, senza necessita di assistenza continua", e tale statuizione, sostiene l'Inps, sarebbe erronea, perché non corrispondente al parere del consulente, che si era espresso sull' esistenza del requisito sanitario concernente la diversa prestazione richiesta, e cioè non già l'indennità di accompagnamento, ma l'assegno ordinario di invalidità di cui all' art. 1 legge 222/84.
Si rileva che effettivamente il consulente aveva concluso testualmente nel senso che« In definitiva l'obiettivita clinica e le indagini strumentali, esibite all'atto della visita medica effettuata dai sanitari Inps e nel corso del presente incarico peritale, a mio parere, non determinavano e non determinano allo stato, una decurtazione della capacita lavorativa tale da permettere il riconoscimento dell'assegno ordinario di invalidità e giustificavano pertanto il giudizio di non invalidità espresso. Per quanto sopra, per effetto del complesso patologico accertato si ritiene che il ricorrente sia da ritenere non invalido all'epoca della visita di revisione da parte dei sanitari dell'Inps dell'ottobre 2011».
Vi e quindi una discrasia tra il parere del CTU ed il decreto di omologa, che non assevera detto parere ma lo modifica, facendo riferimento a questione diversa da quella accertata dall'ausiliare.
La discrasia è irrilevante, dovendosi avere esclusivo riguardo alle conclusioni di cui alla consulenza. Infatti, alla stregua del meccanismo prefigurato dalla legge che sopra si e illustrato, non possono che considerarsi del tutto ininfluenti i rilievi ( eventualmente errati ) del giudice contenuti nel decreto di omologa, perché in detto provvedimento il giudice medesimo deve "necessariamente" limitarsi ad asseverare le conclusioni del CTU, e sono queste, e solo queste, che concludono la fase preliminare ove non siano state sollevate contestazioni. In questo caso, si deve quindi interpretare il decreto di omologa come conferma del parere espresso dal CTU, ossia il giudizio di non invalidità, ai fini del diritto all'assegno ordinario di invalidità, alla data della visita di revisione, mentre resta del tutto irrilevante la diversa indicazione fatta dal giudice nel medesimo decreto.
6. Con il primo motivo si lamenta in particolare che il giudice sarebbe incorso nella violazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ. non avendo tenuto conto della eccezione di esso Istituto formulata nella memoria difensiva, di inammissibilità dell'azione per violazione del principio del "ne bis in idem" per essere ancora pendente davanti alIa Corte d'appello di Potenza il giudizio avverso la sentenza del Tribunale di Melfi 466/2011 che aveva riconosciuto il diritto all'assegno ordinario di invalidità dal primo gennaio 2009, ossia la medesima prestazione di cui il M**** aveva chiesto il ripristino dal novembre 2011 con il ricorso per ATP.
7. Se lineamenti della procedura di cui all'art. 445 bis del codice di procedura civile sono quelli sopra illustrati, il primo motivo del ricorso straordinario dell'Inps, sensi dell'art. 111 Costituzione, avverso il decreto di omologa, non può che essere dichiarato inammissibile.
Non sono qui direttamente richiamabili i principi enunciati da questa Corte in tema di accertamento tecnico preventivo con finalità conciliativa di cui all'art. 696 bis del codice di procedura civile.
In relazione a detta disposizione si e ritenuto inammissibile il ricorso ex art. 111 Costituzione, trattandosi di provvedimento connotato dal carattere della provvisorietà e strumentalità e che non pregiudica il diritto alla prova come previsto dall'art. 698 del medesimo codice ( Cass. SU, Ordinanza n. 14301 del 20/06/2007 e Sez. 6 Ordinanza n. 5698/2013).
Infatti, a differenza di quanto avviene in quel procedimento, in cui le conc1usioni della consulenza preventiva non pregiudicano le questioni relative all'ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova, nella fattispecie legale in esame l' accertamento dello stato invalidante, a seguito dell' omologa, non può più essere messo in discussione nell' eventuale nuovo giudizio che si può aprire per la concessione della prestazione.
Non sono qui direttamente richiamabili i principi enunciati da questa Corte in tema di accertamento tecnico preventivo con finalità conciliativa di cui all'art. 696 bis del codice di procedura civile.
In relazione a detta disposizione si e ritenuto inammissibile il ricorso ex art. 111 Costituzione, trattandosi di provvedimento connotato dal carattere della provvisorietà e strumentalità e che non pregiudica il diritto alla prova come previsto dall'art. 698 del medesimo codice ( Cass. SU, Ordinanza n. 14301 del 20/06/2007 e Sez. 6 Ordinanza n. 5698/2013).
Infatti, a differenza di quanto avviene in quel procedimento, in cui le conc1usioni della consulenza preventiva non pregiudicano le questioni relative all'ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova, nella fattispecie legale in esame l' accertamento dello stato invalidante, a seguito dell' omologa, non può più essere messo in discussione nell' eventuale nuovo giudizio che si può aprire per la concessione della prestazione.
8. Tuttavia detto primo motivo di ricorso proposto ex art. 111 Costituzione, è inammissibile, giacché viene censurato un decreto e non una sentenza, ossia il decreto di omologa, che invero non regola i rapporti di dare e avere tra le parti, perche nulla dice sul diritto dell'istante alla prestazione, ma si limita all' accertamento della invalidità, ossia all' accertamento di un mero "spezzone" della fattispecie complessa, che abbisogna dell'ulteriore fase di verifica dell'esistenza delle altre condizioni previste dalla legge per il diritto alla prestazione, fase che ancora non si e compiuta, di talché non si e affatto conc1uso il giudizio sulla fondatezza della pretesa fatta valere.
Invero il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Costituzione è ammissibile nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto, solo quando essi siano definitivi e abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura "sostanziale"; devono cioè essere idonei a risolvere il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell'una o dell'altra ( cfr. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 15949 del 20/07/2011 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2757 del 23/02/2012).
Il decreto di omologa del requisito sanitario non incide sulle situazioni giuridiche soggettive perché non conferisce né nega alcun diritto, dal momento che non statuisce sulla spettanza della prestazione richiesta e sul conseguente obbligo dell'Inps di erogarla.
Infatti il decreto di omologa della relazione peritale riconosce solo l'esistenza dello stato invalidante, mentre per il diritto alla prestazione, quando l'Istituto, all'esito della verifica di cui è incaricato, non proceda al pagamento, si apre il giudizio distinto cui sopra si è fatto cenno, in cui dovranno essere esaminate tutte le questioni che l'lnps propone con il presente ricorso.
Sarà dunque in quella sede che L'Istituto potrà far valere i vizi che qui denunzia, come la mancanza della domanda amministrativa e l'esistenza del procedimento davanti alla Corte d'appello di Potenza, che avrebbe il medesimo oggetto, con conseguente preclusione per il divieto del ne bis in idem.
Invero il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Costituzione è ammissibile nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto, solo quando essi siano definitivi e abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura "sostanziale"; devono cioè essere idonei a risolvere il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell'una o dell'altra ( cfr. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 15949 del 20/07/2011 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2757 del 23/02/2012).
Il decreto di omologa del requisito sanitario non incide sulle situazioni giuridiche soggettive perché non conferisce né nega alcun diritto, dal momento che non statuisce sulla spettanza della prestazione richiesta e sul conseguente obbligo dell'Inps di erogarla.
Infatti il decreto di omologa della relazione peritale riconosce solo l'esistenza dello stato invalidante, mentre per il diritto alla prestazione, quando l'Istituto, all'esito della verifica di cui è incaricato, non proceda al pagamento, si apre il giudizio distinto cui sopra si è fatto cenno, in cui dovranno essere esaminate tutte le questioni che l'lnps propone con il presente ricorso.
Sarà dunque in quella sede che L'Istituto potrà far valere i vizi che qui denunzia, come la mancanza della domanda amministrativa e l'esistenza del procedimento davanti alla Corte d'appello di Potenza, che avrebbe il medesimo oggetto, con conseguente preclusione per il divieto del ne bis in idem.
9. D'altra parte, contrariamente a quanto sostiene l'lnps, la strada tracciata dal legislatore è obbligata: è improcedibile il ricorso inteso ad ottenere prestazioni previdenziali e assistenziali se non preceduto dall'accertamento tecnico preventivo "obbligatorio".
Il giudice adito con la istanza per ATP null'altro è legittimato a fare se non a procedere alla consulenza e gli è inibito di operare preliminarmente verifiche di sorta sugli altri requisiti, giacchée il legislatore pone l'ATP come fase preliminare in cui passare "necessariamente", quali che siano gli ostacoli che, nelle singole fattispecie, precluderebbero comunque il diritto alla prestazione richiesta.
Ciò si giustifica, nella logica del legislatore, con l'intento di far sì che le questioni sanitarie vengano decise esc1usivamente e definitivamente in primo grado, con il decreto di omologa o con la sentenza, prec1udendo che vengano rimesse in discussione in appello, evidentemente confidando che ciò conduca ad una più rapida definizione delle relative controversie, nella convinzione che l'elemento sanitario, nella gran parte dei casi, assume rilievo risolutivo, e ciò anche scontando l'inconveniente per cui, talvolta, può essere antieconomico, quanto ai tempi ed al dispendio di spese, decidere sulle condizioni sanitarie al cospetto di elementi che già, prima facie, rendano ben edotti che la prestazione non sarebbe comunque conseguibile.
Il giudice adito con la istanza per ATP null'altro è legittimato a fare se non a procedere alla consulenza e gli è inibito di operare preliminarmente verifiche di sorta sugli altri requisiti, giacchée il legislatore pone l'ATP come fase preliminare in cui passare "necessariamente", quali che siano gli ostacoli che, nelle singole fattispecie, precluderebbero comunque il diritto alla prestazione richiesta.
Ciò si giustifica, nella logica del legislatore, con l'intento di far sì che le questioni sanitarie vengano decise esc1usivamente e definitivamente in primo grado, con il decreto di omologa o con la sentenza, prec1udendo che vengano rimesse in discussione in appello, evidentemente confidando che ciò conduca ad una più rapida definizione delle relative controversie, nella convinzione che l'elemento sanitario, nella gran parte dei casi, assume rilievo risolutivo, e ciò anche scontando l'inconveniente per cui, talvolta, può essere antieconomico, quanto ai tempi ed al dispendio di spese, decidere sulle condizioni sanitarie al cospetto di elementi che già, prima facie, rendano ben edotti che la prestazione non sarebbe comunque conseguibile.
10. D'altra parte riservare all'accertamento sanitario la possibilità di esperire due diverse fasi in primo grado - l'una di predisposizione automatica della consulenza medica e l'altra, eventuale, rimessa esc1usivamente alla volontà delle parti e quindi sottratta all'iniziativa giudiziale, che è peraltro incentrata espressamente sulle contestazioni mosse alle conc1usioni del CTU - è stata evidentemente considerata dal legislatore garanzia sufficiente a prec1udere la riproposizione in appello delle questioni sanitarie.
Vi è poi ancora da considerare, per quanto riguarda la conformità a Costituzione, che la Corte Costituzionale nelle controversie avente ad oggetto l'opposizione alla stima delle indennità per espropriazione per pubblica utilità - e quindi sulla applicazione del rito sommario di cognizione non convertibile - decidendo sulla costituzionalità degli artt. 29 e 34 comma 37 del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, ha avuto modo di affermare che «nella disciplina degli istituti processuali vige il principio della discrezionalità e insindacabilità delle scelte operate dal legislatore, nel limite della loro non manifesta irragionevolezza» e ha rilevato che la decisione richiesta avrebbe «natura creativa e non sarebbe costituzionalmente obbligata, versandosi in materia nella quale sussiste la discrezionalità del legislatore», richiamando il principio per cui «la Costituzione non impone un modello vincolante di processo», ribadendo «la piena compatibilità costituzionale della opzione del legislatore processuale, giustificata da comprensibili esigenze di speditezza e semplificazione ..... d'altra parte la garanzia del doppio grado di giudizio non gode, di per se, di una copertura costituzionale ... ( Corte Cost. ord. n. 190 del 2013 e n. 10/2013 ).
Vi è poi ancora da considerare, per quanto riguarda la conformità a Costituzione, che la Corte Costituzionale nelle controversie avente ad oggetto l'opposizione alla stima delle indennità per espropriazione per pubblica utilità - e quindi sulla applicazione del rito sommario di cognizione non convertibile - decidendo sulla costituzionalità degli artt. 29 e 34 comma 37 del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, ha avuto modo di affermare che «nella disciplina degli istituti processuali vige il principio della discrezionalità e insindacabilità delle scelte operate dal legislatore, nel limite della loro non manifesta irragionevolezza» e ha rilevato che la decisione richiesta avrebbe «natura creativa e non sarebbe costituzionalmente obbligata, versandosi in materia nella quale sussiste la discrezionalità del legislatore», richiamando il principio per cui «la Costituzione non impone un modello vincolante di processo», ribadendo «la piena compatibilità costituzionale della opzione del legislatore processuale, giustificata da comprensibili esigenze di speditezza e semplificazione ..... d'altra parte la garanzia del doppio grado di giudizio non gode, di per se, di una copertura costituzionale ... ( Corte Cost. ord. n. 190 del 2013 e n. 10/2013 ).
11. Il secondo motivo del ricorso straordinario dell'Inps, essendo limitato alla statuizione sulle spese di consulenza emessa nel decreto di omologa, è invece ammissibile, sulla scorta di quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in fattispecie analoghe, perché si tratta di provvedimento definitivo, di carattere decisorio, che incide indubbiamente sui diritti patrimoniali delle parti, e che è non soggetto alla possibilità di impugnazione in altre sedi.
Ed infatti, con la sentenza della Sez. 1, n. 23638 del 11/11/2011, in materia di spese disposte nell'ordinanza presidenziale di ricusazione di un arbitro, si e affermato che « L'ordinanza con cui il presidente del tribunale, decidendo sull'istanza di ricusazione di un arbitro (nella specie, con dichiarazione di cessazione della materia del contendere), provveda sulle spese processuali, è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di statuizione incidente sul corrispondente diritto patrimoniale con efficacia di giudicato, non essendo previsto altro mezzo di impugnazione. ».
Nella motivazione si è precisato « '" ..In disparte la soluzione da dare alla questione dell'ammissibilità (normalmente negata: cfr., da ult., Cass. 2774/2007) del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso la decisione del presidente del tribunale sull'istanza di ricusazione dell'arbitro, va infatti sottolineato che qui si discute esclusivamente delle spese processuali. Ed e certo che, se la questione delle spese processuali viene in considerazione in via autonoma - a prescindere, cioè, dalla statuizione sulla questione principale, le cui sorti dunque non rilevano - non vi e ragione di negare l'impugnabilità della decisione sulle spese. La condanna alle spese, infatti, incide sul corrispondente diritto patrimoniale con l'efficacia propria del giudicato, sicché, ove sia assunta in forma diversa dalla sentenza e non sia previsto altro mezzo d'impugnazione, deve riconoscersi l'impugnabilità della stessa mediante ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost..»
Ed ancora, in relazione alle statuizioni che si riferiscono alla gestione del registro si e affermato ( Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2757 del 23/02/2012) che « Il decreto emesso in sede di reclamo dal tribunale, ai sensi dell'art. 2192 cod. civ., non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, di cui all'art. 111 Cost., con riguardo alle statuizioni che si riferiscono alla gestione del registro e, quindi, agli atti da iscrivere o da cancellare, mentre ad opposta conclusione deve pervenirsi con riguardo all'eventuale distinta decisione con la quale il giudice, pronunciando sui reclamo, condanni una parte al pagamento delle spese processuali, in quanto questa ha carattere decisorio e definitivo, risolvendo un conflitto tra le parti in ordine ad un diritto soggettivo, e non essendo la stessa modificabile o revocabile neppure in un procedimento diverso. ».
In motivazione si e poi precisato, in relazione alla distinta decisione con cui il giudice pronunciando sul reclamo, condanni l'una o l'altra parte al pagamento delle spese processuali che « Una siffatta condanna innegabilmente ha carattere decisorio, perche risolve il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell'una o dell'altra ad ottenere il rimborso delle spese sostenute nel procedimento, ed ha altresì carattere definitivo, giacche rientra nell'esclusiva competenza del giudice di quel procedimento e non sarebbe modificabile né revocabile neppure in un eventuale procedimento diverso. Per le medesime ragioni questa corte, superando alcune precedenti incertezze, e oggi nettamente orientata a ritenere che il decreto con cui il giudice d'appello abbia deciso sul reclamo proposto avverso il provvedimento reso a norma dell'art. 2409 C.c., pur se non impugnabile nel merito con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., lo e invece per la parte in cui rechi condanna alle spese del procedimento, proprio in quanto tale condanna, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito dipendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame viene emessa, riveste i caratteri della decisione giurisdizionale e l'attitudine al passaggio in giudicato, indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede (cfr., tra le altre, Cass. 13 gennaio 2010, n. 403; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1571; e Cass. 10 gennaio 2005, n. 293). »
Ed infatti, con la sentenza della Sez. 1, n. 23638 del 11/11/2011, in materia di spese disposte nell'ordinanza presidenziale di ricusazione di un arbitro, si e affermato che « L'ordinanza con cui il presidente del tribunale, decidendo sull'istanza di ricusazione di un arbitro (nella specie, con dichiarazione di cessazione della materia del contendere), provveda sulle spese processuali, è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di statuizione incidente sul corrispondente diritto patrimoniale con efficacia di giudicato, non essendo previsto altro mezzo di impugnazione. ».
Nella motivazione si è precisato « '" ..In disparte la soluzione da dare alla questione dell'ammissibilità (normalmente negata: cfr., da ult., Cass. 2774/2007) del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso la decisione del presidente del tribunale sull'istanza di ricusazione dell'arbitro, va infatti sottolineato che qui si discute esclusivamente delle spese processuali. Ed e certo che, se la questione delle spese processuali viene in considerazione in via autonoma - a prescindere, cioè, dalla statuizione sulla questione principale, le cui sorti dunque non rilevano - non vi e ragione di negare l'impugnabilità della decisione sulle spese. La condanna alle spese, infatti, incide sul corrispondente diritto patrimoniale con l'efficacia propria del giudicato, sicché, ove sia assunta in forma diversa dalla sentenza e non sia previsto altro mezzo d'impugnazione, deve riconoscersi l'impugnabilità della stessa mediante ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost..»
Ed ancora, in relazione alle statuizioni che si riferiscono alla gestione del registro si e affermato ( Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2757 del 23/02/2012) che « Il decreto emesso in sede di reclamo dal tribunale, ai sensi dell'art. 2192 cod. civ., non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, di cui all'art. 111 Cost., con riguardo alle statuizioni che si riferiscono alla gestione del registro e, quindi, agli atti da iscrivere o da cancellare, mentre ad opposta conclusione deve pervenirsi con riguardo all'eventuale distinta decisione con la quale il giudice, pronunciando sui reclamo, condanni una parte al pagamento delle spese processuali, in quanto questa ha carattere decisorio e definitivo, risolvendo un conflitto tra le parti in ordine ad un diritto soggettivo, e non essendo la stessa modificabile o revocabile neppure in un procedimento diverso. ».
In motivazione si e poi precisato, in relazione alla distinta decisione con cui il giudice pronunciando sul reclamo, condanni l'una o l'altra parte al pagamento delle spese processuali che « Una siffatta condanna innegabilmente ha carattere decisorio, perche risolve il conflitto tra le parti in ordine al diritto soggettivo dell'una o dell'altra ad ottenere il rimborso delle spese sostenute nel procedimento, ed ha altresì carattere definitivo, giacche rientra nell'esclusiva competenza del giudice di quel procedimento e non sarebbe modificabile né revocabile neppure in un eventuale procedimento diverso. Per le medesime ragioni questa corte, superando alcune precedenti incertezze, e oggi nettamente orientata a ritenere che il decreto con cui il giudice d'appello abbia deciso sul reclamo proposto avverso il provvedimento reso a norma dell'art. 2409 C.c., pur se non impugnabile nel merito con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., lo e invece per la parte in cui rechi condanna alle spese del procedimento, proprio in quanto tale condanna, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito dipendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame viene emessa, riveste i caratteri della decisione giurisdizionale e l'attitudine al passaggio in giudicato, indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede (cfr., tra le altre, Cass. 13 gennaio 2010, n. 403; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1571; e Cass. 10 gennaio 2005, n. 293). »
12. Il secondo motivo del ricorso straordinario è quindi ammissibile ed e anche fondato.
Come già rilevato, infatti, il Giudice adito ha provveduto, nel decreto di omologa alla statuizione sulle spese, e cioè sia sulle spese legali, che ha posto a carico della parte privata, sia sulle spese di consulenza, che ha posto invece a carico dell'Inps, pur essendo indubbio che l'Istituto fosse totalmente vittorioso, avendo il CTU condiviso il parere già espresso dall'Ente in sede amministrativa di insussistenza delle condizioni sanitarie prescritte per il diritto all'assegno di invalidità richiesto.
Vi è dunque una evidente e totale soccombenza della parte che ha intrapreso I' accertamento tecnico preventivo di cui all'art. 445 bis cod. proc. civ., onde l'Istituto, totalmente vittorioso, non poteva essere condannato al pagamento delle spese di CTU.
Il secondo motivo di ricorso va quindi accolto ed il decreto di omologa va cassato nella parte contenente la condanna dell'Inps alle spese di consulenza.
La causa va quindi decisa nel merito facendo applicazione dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., più volte modificato nel corso del tempo, per cui nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo i casi di malafede e colpa grave, non può essere condannato al pagamento delle spese competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente alla pronunzia, di un reddito imponibile ai fini Irpef inferiore alla soglia determinata dalla legge. E' onere dell'interessato che sia titolare di un reddito nei limiti di detta soglia di formulare apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo.
Nella specie, nel ricorso contenente l'istanza di accertamento tecnico preventivo, M**** non ha assolto l'onere di formulare, nel ricorso introduttivo, la dichiarazione sostitutiva di certificazione della sua situazione reddituale al fine di ottenere I' esenzione dal pagamento delle spese, ivi comprese quelle di consulenza, come richiesto dall'art. 152 disp. att. cod. proc. civ ..
Ne consegue che, con decisione nel merito, il M**** va condannato al pagamento delle spese della CTU esperita nell' ATP, liquidate come da decreto del giudice.
La parziale soccombenza dell'Inps e la novità delle questioni, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.
Come già rilevato, infatti, il Giudice adito ha provveduto, nel decreto di omologa alla statuizione sulle spese, e cioè sia sulle spese legali, che ha posto a carico della parte privata, sia sulle spese di consulenza, che ha posto invece a carico dell'Inps, pur essendo indubbio che l'Istituto fosse totalmente vittorioso, avendo il CTU condiviso il parere già espresso dall'Ente in sede amministrativa di insussistenza delle condizioni sanitarie prescritte per il diritto all'assegno di invalidità richiesto.
Vi è dunque una evidente e totale soccombenza della parte che ha intrapreso I' accertamento tecnico preventivo di cui all'art. 445 bis cod. proc. civ., onde l'Istituto, totalmente vittorioso, non poteva essere condannato al pagamento delle spese di CTU.
Il secondo motivo di ricorso va quindi accolto ed il decreto di omologa va cassato nella parte contenente la condanna dell'Inps alle spese di consulenza.
La causa va quindi decisa nel merito facendo applicazione dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., più volte modificato nel corso del tempo, per cui nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo i casi di malafede e colpa grave, non può essere condannato al pagamento delle spese competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente alla pronunzia, di un reddito imponibile ai fini Irpef inferiore alla soglia determinata dalla legge. E' onere dell'interessato che sia titolare di un reddito nei limiti di detta soglia di formulare apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo.
Nella specie, nel ricorso contenente l'istanza di accertamento tecnico preventivo, M**** non ha assolto l'onere di formulare, nel ricorso introduttivo, la dichiarazione sostitutiva di certificazione della sua situazione reddituale al fine di ottenere I' esenzione dal pagamento delle spese, ivi comprese quelle di consulenza, come richiesto dall'art. 152 disp. att. cod. proc. civ ..
Ne consegue che, con decisione nel merito, il M**** va condannato al pagamento delle spese della CTU esperita nell' ATP, liquidate come da decreto del giudice.
La parziale soccombenza dell'Inps e la novità delle questioni, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassa il decreto di omologa impugnato nella parte relativa alla condanna dell'Inps aIle spese di consulenza, e, decidendo nel merito, pone a carico di M**** le spese della CTU espletata nell'acceertamento tecnico preventivo, come gia liquidate con decreto.
Compensa le spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma il19 dicembre 2013.
Il presidente estensore M. La Terza
Depositato in Cancelleria
oggi 17 marzo 2014
Compensa le spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma il19 dicembre 2013.
Il presidente estensore M. La Terza
Depositato in Cancelleria
oggi 17 marzo 2014
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