lunedì 7 ottobre 2019

Revoca prestazione assistenziale e necessità di una nuova domanda amministrativa (Cassazione, ordinanza n° 4788/2019)

La Cassazione cristalizza la normalitá ma, come spesso accade, l'Inps interpreta le sentenze a suo piacimento: a pagar le spese sono sempre i più deboli!!! (cit. avv. Danilo Albano)
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Prima di entrare nel merito del post, desidero segnalare che queste brevi osservazioni derivano da un interessantissimo scambio di idee con l’amico storico avv. Alessandro Faggiano, Presidente della Camera Previdenziale Napoletana che ringrazio, come sempre, per la sagacia, l’esperienza e la disponibilità da sempre spesi nell’interesse della categoria degli avvocati previdenzialisti. 

Fa discutere gli operatori del diritto (magistrati ed avvocati) una recente eccezione processuale sollevata in giudizio dall’INPS secondo cui – sulla base di un “consolidato” orientamento giurisprudenziale (da ultimo Cassazione, ord. 4788/2019) – quando un cittadino intenda ottenere il ripristino di una prestazione assistenziale precedentemente REVOCATA, questi è tenuto presentare una nuova domanda amministrativa, essendo preclusa l’impugnativa in sede giudiziale del relativo provvedimento.

E quindi??? Dov’è il problema??? Il principio è chiaro ed anche sacrosanto!!!
La Cassazione ha assolutamente ragione, non avendo fatto altro che “scoprire l’acqua calda”.

E’ normalissimo che quando una prestazione viene REVOCATA, per ottenerne il ripristino, bisogna necessariamente presentare una nuova domanda.

C’è però da dire, e non me ne voglia a male nessuno, che “quando il saggio (leggasi Cassazione) indica la luna, lo stolto (INPS) guarda il dito”!!!

Il problema, infatti, è far capire allo stolto INPS la SOSTANZIALE DIFFERENZA TRA IL GIUDIZIO MEDICO-LEGALE DI VERIFICA ED IL SUCCESSIVO  PROVVEDIMENTO DI REVOCA DELLA PRESTAZIONE SINO A QUEL MOMENTO GODUTA.

La revoca di una prestazione assistenziale, infatti, è un provvedimento amministrativo che:
1)   Segue un verbale sanitario di mancata conferma della permanenza del requisito sanitario diventato definitivo (e cioè, non impugnato in tribunale nei 6 mesi dalla notifica oppure, qualora impugnato, con giudizio conclusosi con esito negativo per il ricorrente);
2)   Deve essere emesso in forma specifica dall’amministrazione;
3)  Deve essere formalmente comunicato all’interessato, il quale ha precisi termini e modalità – stabiliti dalla legge – per impugnarlo.   


LA FORMALE REVOCA DELLA PRESTAZIONE, PERTANTO, NON E’ RAPRESENTATA DAL VERBALE SANITARIO NEGATIVO, MA SEGUE TALE VERBALE SE, E QUANDO, QUEST’ULTIMO DOVESSE DIVENTARE DEFINITIVO.

La procedura amministrativa infatti prevede prima il verbale sanitario negativo, poi la sospensione cautelativa della prestazione ed infine decreto di revoca se – ovviamente - il verbale diventa definitivo.

La questione si è posta negli ultimi anni in quanto l’INPS non si è più degnato di trasmettere il provvedimento di revoca definitivo (in pratica la sospensione della prestazione si trasforma in revoca senza essere cristallizzato in un provvedimento formale) e, nell’immaginario collettivo, il provvedimento di revoca al giorno d’oggi è rappresentato dal verbale sanitario.

Tale verbale sanitario (che ribadiamo per l’ennesima volta, non è il provvedimento di revoca indicato dalla Cassazione) è sempre impugnabile nei sei mesi dalla notifica ex art. 42 L. 326/2003; se il cittadino non lo impugna, o se lo impugna in Tribunale e perde la causa, allora diventa definitivo con la consequenziale revoca della prestazione… e quindi – ovviamente - bisogna presentare una nuova domanda!!!

Se però il cittadino contesta in giudizio il verbale sanitario e fin quando dura la relativa causa, la prestazione non è revocata ma è semplicemente “sospesa sub iudice”; ne discende che se vince la causa con l’accertamento dell’errore della valutazione sanitaria, ovviamente non seguirà alcuna revoca.
Quindi, in estrema sintesi, è giusto e sacrosanto quello che dice la Cassazione: alla revoca deve seguire una nuova domanda specificando, però, che il verbale sanitario non solo non costituisce revoca della prestazione (ma ne è un semplice, eventuale, presupposto) ma è anche sempre impugnabile innanzi all’Autorità Giudiziaria.

De resto da un lato non solo non esiste, nel nostro ordinamento, alcun provvedimento amministrativo che non sia impugnabile e dall’altro, è lo stesso INPS che nelle lettera di trasmissione dei verbali sanitari scrive testualmente “Le ricordo che, avverso tale decisione, può presentare ricorso innanzi all’Autorità Giudiziaria entro il termine di sei mesi dalla data di ricevimento di questa comunicazione”.

E’ inoltre importantissimo aggiungere che la DIFFERENZA SOSTANZIALE TRA IL VERBALE MEDICO LEGALE DI VERIFICA ED IL PROVVEDIMENTO DI REVOCA DELLA PRESTAZIONE è pacifico nella normativa, nella prassi amministrativa ed anche nella giurisprudenza di Cassazione.

1)   GIURISPRUDENZA: (Cassazione, sentenza n° 8970/2018): “Invalidità civile, il termine semestrale di decadenza dall’azione giudiziaria non decorre dalla data del provvedimento di revoca ma dalla data di notifica del verbale sanitario” (massima non ufficiale).  

2)   NORMATIVA (comma 4, art. 42 L. 326/2003):  “In sede di verifica della sussistenza dei requisiti medico-legali effettuata dal Ministero dell'economia e delle finanze - Direzione centrale degli uffici locali e dei servizi del Tesoro – (oggi INPS) nei confronti dei titolari delle provvidenze economiche di invalidità civile, cecità e sordomutismo, sono valutate le patologie riscontrate all'atto della verifica con riferimento alle tabelle indicative delle percentuali di invalidità esistenti. Nel caso in cui il giudizio sullo stato di invalidità non comporti la conferma del beneficio in godimento è disposta la sospensione dei pagamenti ed il conseguente provvedimento di revoca opera con decorrenza dalla data della verifica”.

3)   PRASSI AMMINISTRATIVA (circolare INPS n° 77/2008):  “Qualora il GIUDIZIO MEDICO-LEGALE DI VERIFICA si esprima per l’assenza del requisito sanitario e quindi per il disconoscimento del beneficio economico in  godimento, la struttura amministrativa INPS competente provvederà alla immediata sospensione del pagamento e al successivo PROVVEDIMENTO DI REVOCA con decorrenza dalla data della verifica (art. 42 legge 326/2003)”.
    
A ciò si aggiunga che il comma 6 dell’art 80 della L. 133/08 - appunto sulle verifiche straordinarie della permanenza dei requisiti sanitari è particolarmente significativo laddove stabilisce che l’INPS è legittimato passivo nei giudizi avverso i verbali sanitari di verifica straordinaria (Nei procedimenti giurisdizionali relativi ai verbali di visita emessi dalle commissioni mediche di verifica, finalizzati all'accertamento degli stati di invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, nonchè ai provvedimenti di revoca emessi dall'I.N.P.S. nella materia di cui al presente articolo la legittimazione passiva spetta all'I.N.P.S. medesimo): se il legislatore prevede espressamente, nella norma che autorizza la verifica straordinaria, chi sia il legittimato nelle cause, vuol dire che prevede che contro i verbali si possa fare causa, e non una nuova domanda!!!

Infine lo “stolto/INPS” si è limitato a guardare il dito, limitandosi a leggere la massima dell’ordinanza tralasciando (si spera colposamente) la lettura dell’intero provvedimento….

La citata ordinanza della Cassazione n° 4788/2019, infatti, fa espresso riferimento ad una precedente ordinanza della S.C. n° 6590/2014 che – se fosse stata letta nella sua completezza e non solo nella massima – avrebbe fatto capire agli scienziati di turno che non si controverteva su di una revoca sanitaria, bensì su una REVOCA PER SOLI MOTIVI REDDITUALI.

Mi limito a ricopiare alcuni passaggi essenziali dell’ordinanza “capofila” 6590/2014 per meglio evidenziare ai lettori la malafede o, si spera, l’ignoranza dell’Istituto nel propugnare con tanto astio l’eccezione processuale:
“Nella fattispecie, i benefici assistenziali (pensione e indennità di accompagnamento) per chiechi civili erano stati concessi … con decreto prefettizio del 05/96, ma con successivo decreto del 20/06/96 si era provveduto alla revoca della pensione (per aver il ricorrente prestato servizio presso l’ENEL in qualità di centralinista dal 03/06/96, DA CUI IL VENIR MENO DEL REQUISITO REDDITUALE; SI VERTEVA, QUINDI, IN UN CASO DI REVOCA D’UFFICIO, CUI NON AVEVA FATTO SEGUITO NE’ IL RICORSO AMMINISTRATIVO, NE’ LA PRESENTAZIONE DI UNA SUCCESSIVA DOMANDA AMMINISTRATIVA, ESSENDOSI L’INTERESSATO LIMITATO AD IMPUGNARE IN SEDE GIUDIZIALE IL PROVVEDIMENTO PREFETTIZIO DOPO CIRCA 13 ANNI DALLA SUA EMISSIONE. NEL CASO IN ESAME, IL BENEFICIO ASSITENZIALE ERA STATO REVOCATO D’UFFICIO (PER IL VENIR MENO DEL REQUISITO REDDITUALE) NEL GIUGNO 1996, CON PROVVEDIMENTO AL QUALE NON HA FATTO SEGUITO ALTRA DOMANDA AMMINISTRATIVA;
L’INTERESSATO HA DIRETTAMENTE AGITO IN GIUDIZIO A DISTANZA DI DIVERSI ANNI DEDUCENDO DI AVER DIRITTO AL RIPRISTINO DELLA PENSIONE…”.

Quindi, nella speranza che queste brevi osservazioni possano aiutare gli operatori del diritto a chiarire la questione “revoca / nuova domanda”, vi invito a leggere nell’interezza le citate fonti di diritto e ad attivarvi, chiedendo un dovuto termine per note, qualora il giudice di turno possa mostrare un benchè minimo interesse alla vergognosa ricostruzione giuridica prospettata dall’INPS.

Carmine Buonomo    
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