martedì 29 dicembre 2015

Il CTU può chiedere il pagamento a ciascuna delle parti, anche se il Giudice dispone l'onere solamente ad una di queste (Cassazione, sentenza n° 23133/15)


Fonte: GiuriCivile


Con la sentenza n. 23133 del 12 novembre 2015, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che le spese di CTU sono a carico di tutte le parti, a prescindere dalla soccombenza nel giudizio.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, infatti, la CTU rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio, ma un ausilio per il giudice: è, quindi, un atto necessario del processo “che l’ausiliare pone in essere nell’interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale“.

Ne consegue che le modalità di pagamento dei compensi del consulente tecnico prescindono dalla ripartizione dell’onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza. 

Le parti sono pertanto solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze anche dopo che la controversia, durante la quale il consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza – sia definitiva sia non ancora passata in giudicato – a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita.

sabato 26 dicembre 2015

Pensione di inabilità, in assenza dei requisiti il giudice può concedere l’assegno di invalidità civile (Cassazione, Sentenza n° 17452/2014)

In assenza dei presupposti per il riconoscimento della pensione di inabilità civile, il giudice può comunque riconoscere al ricorrente l’assegno mensile di invalidità, «per l’implicita inclusione di questo, in quanto beneficio minore, in quello maggiore espressamente domandato».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17452 del 31 luglio 2014, bocciando il ricorso dell’Inps.
IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro (che ne aveva rigettato la domanda, nel contraddittorio con l’Inps e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il riconoscimento dello status di invalida al 100% con necessità di assistenza continua, per difetto di prova del requisito della iscrizione nelle liste speciali di collocamento al lavoro), accertava il diritto della ricorrente all’assegno di invalidità civile, condannandone l’Inps all’erogazione con decorrenza dal 20 marzo 2007, con maggiorazione per interessi legali dei ratei maturati da ogni singola scadenza.
A motivo della sentenza, la Corte riteneva la sussistenza del requisito di riconosciuta ed incontestata invalidità civile al 76% dal 10 maggio 2004, di quello reddituale dal 2005 e, infine, di quello di iscrizione alle liste speciali dal 20 marzo 2007, ravvisando l’ammissibilità della produzione di quest’ultimo documento, in quanto sopravvenuto alla decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’Inps, per avere la Corte territoriale...

lunedì 21 dicembre 2015

Pignoramento pensione e stipendio: differenze


Articolo dell'avv. Matteo Mami (sito web)

La Corte Costituzionale con sentenza del 21.10.2015 n. 248 (depositata il 03.12.2015) ha stabilito che il pignoramento di stipendio basso, anche se inferiore all’ammontare dell’assegno sociale, è consentito con il solo limite del quinto del suo ammontare.

Quindi, ad esempio, se il debitore ha uno stipendio di € 500,00 gli possono pignorare fino ad € 100,00 al mese, fino ad estinzione del debito.

Il pignoramento di stipendio basso, pertanto, è consentito, a differenza di quanto previsto per il pignoramento di pensione che risulta impignorabile per la parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato.

L’art. 545, quarto comma, c.p.c. prevede che le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, sono pignorabili nella misura del “quinto” mentre, qualora concorrano più cause tra quelle indicate dall’art. 545 cod. proc. civ., il quinto comma, prevede che il pignoramento può estendersi sino alla metà.

Per quel che riguarda gli emolumenti da pensione, invece, fin dalla pronuncia n. 506 del 2002 l’orientamento della Corte Costituzionale era nel senso che, fermo restando il limite del quinto del percepito, doveva essere sottratta al regime di pignorabilità la parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato.

Con la predetta pronuncia la Consulta affermava, altresì, la non assimilabilità del regime dei crediti pensionistici a quelli di lavoro e che l’individuazione dell’ammontare della parte di pensione idonea ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita rimaneva riservata, “nei limiti di ragione”, alla discrezionalità del legislatore.

Per lungo tempo il legislatore non è intervenuto sulla materia e la giurisprudenza si vedeva costretta a sopperire ad una tale mancanza andando ad individuare il limite di impignorabilità delle pensioni nella misura dell’ammontare dell’assegno sociale.

domenica 20 dicembre 2015

La pensione di inabilità può essere convertita in assegno sociale, anche se non fruita: Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 25204/2015



Corte di Cassazione, Sezioni Unite
sentenza 3 novembre – 15 dicembre 2015, n. 25204 
Presidente Roselli – Relatore Nobile 

Svolgimento del processo 

Con sentenza n. 230/2011 il Giudice del lavoro del Tribunale di Pisa, in accoglimento della domanda proposta da V.A.M. nei confronti dell’INPS, dichiarava il diritto della V. a beneficiare, a decorrere dal 1-8-2009, della pensione sociale (recte: “assegno sociale”, v. art. 3 legge n. 335/1995 – così intendendosi, indubbiamente, la detta pronuncia -) in sostituzione della pensione di inabilità ai sensi dell’art. 19 della legge n. 118 del 1971. 
L’INPS proponeva appello avverso la detta sentenza) lamentando che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che la V. (che aveva presentato la domanda amministrativa in data 28-7-2009, un giorno prima del compimento del 65^ anno di età) avesse maturato il diritto alla pensione di inabilità in data antecedente al 1-8-2009, presupposto indefettibile per accedere al beneficio della “sostituzione”, di cui all’invocato art. 19. La V. si costituiva tardivamente e resisteva al gravame. 
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 16-1-2013, in accoglimento dell’appello dell’Istituto rigettava la originaria domanda. 
In sintesi la Corte territoriale affermava che la V. , nata il 29-7-1944, a prescindere dall’età anagrafica alla data della domanda amministrativa, aveva già compiuto il sessantacinquesimo anno di età alla data di decorrenza del beneficio preteso (il primo giorno cioè del mese successivo alla presentazione della domanda) ragion per cui, non avendo conseguito, alla data del 1-8-2009, in difetto del predetto requisito anagrafico, il trattamento pensionistico spettante agli infrasessantacinquenni, non poteva beneficiare neppure della pensione (recte: “assegno”) sociale in sostituzione di tale trattamento. 
Per la cassazione di tale sentenza la V. ha proposto ricorso con un unico motivo, dolendosi che la Corte di merito, in difformità dall’insegnamento di Cass. 24-3-2009 n. 7043, non avesse distinto il momento di maturazione del diritto da quello di decorrenza della prestazione monetaria. 
L’INPS ha resistito con controricorso. 
La Sesta Sezione di questa Corte, innanzi alla quale la causa è stata dapprima chiamata, con ordinanza interlocutoria n. 18159/2014 l’ha rimessa alla pubblica udienza della Sezione Lavoro, in difetto di una giurisprudenza unitaria sulla questione oggetto del giudizio. 
La Sezione Lavoro con ordinanza n. 2562/2015 ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite rilevando che “il delineato contrasto, seppure formatosi sull’indicata specifica fattispecie, investe una questione di massima di particolare importanza, essendo pertinente, anche in termini generali, all’individuazione del momento in cui deve essere riconosciuta l’insorgenza del diritto alle prestazioni assistenziali”. 
La causa è stata quindi rimessa dinanzi a queste Sezioni Unite Civili. 
Infine l’INPS ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. 

Motivi della decisione 

giovedì 10 dicembre 2015

Modello di sollecito all'Agenzia Entrate per la registrazione di atti giudiziari


In considerazione sia della lentezza con cui l'Agenzia delle Entrate provvede a caricare gli atti giudiziari sul proprio portale web (al fine di consentire il versamento della relativa tassa di registrazione) ma anche dell'esigenza di provvedere con una certa celerità all'incombente, onde evitare di anticipare il pagamento per poi dover agire nei confronti del coobbligato in solido, allego il relativo modello di sollecito, da inviare a mezzo email/pec all'Ufficio di competenza.
Un altro post sull'argomento lo troverete QUI
Carmine Buonomo

lunedì 7 dicembre 2015

Ammissibile la revocazione del Decreto di omologa ex art. 445 bis cpc(Tribunale Napoli, Sentenza n° 9801/2015)


Posto un interessantissimo precedente giurisprudenziale, gentilmente messo a disposizione dall'amico e collega avv. Massimo Mazzucchiello.
La peculiarità del provvedimento è rinvenibile nella circostanza che, per la prima volta, si stabilisce in modo fermo l'ammissibilità dello strumento della revocazione per errore di fatto (ex co. 4, art. 395 cpc) ai Decreti di omologa emessi a seguito di ATPO.
Opinabile, ad avviso dello scrivente, solo la motivazione secondo cui "la controvertibilità del rimedio proposto determina la compensazione delle spese del giudizio", quasi come se - nel caso concreto - l'attività difensiva materialmente posta in essere fosse stata meno "impegnativa" di quella teoriamente profusa in altri tipi di giudizio.

mercoledì 2 dicembre 2015

Indebito Inps: come opporsi alle richieste di restituzione (intervista avv. Carmine Buonomo)


https://player.vimeo.com/video/147299233

Clicca sull'immagine per visualizzare l'intervista

Sono frequenti negli ultimi tempi le richieste che l’Inps sta facendo ai pensionati, relative ad indebiti assistenziali e previdenziali.

Occorre innanzi tutto rivolgersi ad un avvocato esperto in materia previdenziale affinchè possa valutare la possibilità o meno di contestare una richiesta di indebito. 

A questo punto vanno fatte alcune considerazioni preliminari.

Innanzitutto occorre chiarire che le richieste di indebito sono soggette a prescrizione decennale, ossia l’Inps ha 10 anni di tempo per poter richiedere al cittadino la restituzione di somme indebitamente percepite. 



Fa eccezione al regime di prescrizione decennale solo la richiesta contributiva per cui l’Inps ha cinque anni di tempo (e piú precisamente 5 anni e 1/2) per poter richiedere il pagamento di contributi non versati.

Altro punto da valutare sono le richieste di restituzione per indebiti reddituali. 

La normativa attuale prevede che l’Inps paghi le prestazioni per l’anno in corso e l’anno seguente provveda a richiedere i dati reddituali e sulla base degli stessi, procede ad un conguaglio. 

Sovente però capita che l’Inps, dopo tale comunicazione, provvede a chiedere la restituzione di somme, anche ingenti. 

Dunque, per evitare che tali richieste di restituzione pervengano dopo un numero di anni spropositati, una legge del 1991 ha previsto che l’Inps, salvo il dolo del percipiente, ha solo un anno di tempo, dalla ricezione dei dati reddituali, per poter richiedere indietro le somme indebitamente erogate.

Infine, un altro punto importante da tenere in considerazione in presenza di una richiesta di indebito Inps, riguarda l’onere della prova nei giudizi di opposizione. 

Infatti, fino al 2008 la giurisprudenza dominante riteneva che nei giudizi di opposizione dovesse essere l’Inps a provare i fatti costitutivi della propria pretesa. 

Nel 2010 la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. SSUU, sent. n° 18046/2010) ha invece stabilito che non dev’essere più l’Istituto a provare i fatti costitutivi ma il cittadino. 

Tuttavia, bisogna segnalare un'interessantissima pronuncia della Cassazione, la n. 198 del 2011, in cui la Corte ha ritenuto che, sebbene sia il cittadino a dover provare la legittimità delle somme che ha percepito, l’Inps deve porlo in condizione di potersi difendere. 

Ne deriva che sono illegittime tutte quelle richieste avanzate dall’Istituto che mancano di dati contabili o in ogni caso di qualsiasi riferimento logico/matematico per poter valutare la bontà della richiesta.