venerdì 27 gennaio 2017

Indebito da trasformazione di pensione provvisoria in definitiva: la legittimità dell'azione di recupero va valutata caso per caso


Le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti sono spesso chiamate a risolvere controversie aventi ad oggetto indebiti pensionistici. 

Le casistiche sono molteplici, ma la tipologia sicuramente più diffusa è quella relativa al conguaglio tra pensione provvisoria e pensione definitiva a carico dello Stato.

Il legislatore, al fine di salvaguardare la continuità tra lo stipendio percepito in servizio e il primo rateo pensionistico ha previsto, all’art. 162 del D.P.R. 1092/73, che il trattamento venga immediatamente liquidato in via provvisoria per poi procedere ai necessari aggiustamenti in sede di definitiva. 

Proprio nel caso di liquidazione definitiva di importo minore si verifica questa problematica di indebiti. 

La questione è particolarmente aggravata dal fatto che tra la liquidazione dei due trattamenti possono decorrere svariati anni.

L’Istituto previdenziale, doverosamente, richiede la restituzione di quanto effettivamente versato in più rispetto all’importo dovuto. 

I pensionati, spesso ignari delle modalità di calcolo della prestazione ricevuta, a loro volta cercano tutele giurisdizionali. 

Da un punto di vista normativo viene spesso evocato il principio contenuto nell’art. 206 del D.P.R. 1092/73, il quale dispone che nel caso di revoca o modifica del provvedimento (come testualmente recita il titolo IV del medesimo DPR) non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato. 

Il richiamo a tale disciplina però è errato e fuorviante, non potendo trovare applicazione all’ipotesi in argomento; più esattamente nella fattispecie non vi è alcuna norma che affronti la questione.

Soccorrono pertanto i principi generali, da un lato a favore dell’Istituto richiedente trova indubbiamente applicazione l’art. 2033 c.c. sulla ripetizione dell’indebito, mentre dal lato pensionato trovano applicazione i principi sulla buona fede e sull’affidamento nonchè le norme sul procedimento amministrativo di cui alla L. 241/90 circa i termini per l’emanazione di provvedimenti.

La Corte dei Conti ha affrontato nel tempo la problematica con pronunce che hanno segnato l’evoluzione in materia.

In questo contesto risultano particolarmente importanti le sentenze n. 7/2007/QM e 7/2011/QM. 

Con la prima si stabilì che il superamento dei termini per la conclusione del procedimento rappresentava di per sé legittimo affidamento sull’importo erogato, mentre con la seconda sentenza si statuì l’inapplicabilità del richiamato art. 206 in tema di pensione provvisoria. 

Ma, allo stato, la pronuncia più importante deve essere indubbiamente considerata la sentenza emessa dalla Corte dei Conti a Sezioni Riunite avente n. 2/2012/QM che, ricostruendo il principio dell’affidamento presente nel nostro ordinamento, è addivenuta alla soluzione che il decorso del termine per la conclusione del procedimento amministrativo non priva l’Amministrazione del potere – dovere di recupero delle somme indebitamente erogate a titolo di pensione provvisoria che pertanto non ha un limite temporale entro il quale richiedere la ripetizione. 

Ai pensionati, per contro, è riconosciuta la possibilità di opporsi alle predette richieste provando di aver legittimamente ed in buona fede fatto affidamento su somme, ritenute in concreto congrue, percepite per un lasso temporale di almeno un triennio.

Riportato il quadro delle pronunce rilevanti sul tema facciamo il punto: le azioni poste in essere dall’Istituto sono doverose in quanto si tratta pur sempre di somme erogate e non dovute e quindi ripetibili. 

I pensionati, a loro volta, potranno reagire dimostrando che, in buona fede, hanno fatto affidamento sulle somme percepite per un lungo periodo.

Fonte: il Punto

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