Interessantissimo articolo a cura del dott. Giuseppe Gambardella, Magistrato presso la Sezione Lavoro e Previdenza del Tribunale di Napoli
L’introduzione del nuovo art. 445 bis c.p.c.
rappresenta l’ennesimo intervento
legislativo nel settore del contenzioso previdenziale ed
assistenziale diretto a razionalizzare e
soprattutto a deflazionare il numero dei procedimenti giudiziari che ingolfano
gli uffici giudiziari soprattutto dell’area centromeridionale del Paese .
Solo l’esperienza giudiziaria potrà dire se il nuovo
modello processuale voluto dal legislatore
coglierà nel segno .
Ciò che può obiettivamente rilevarsi che quasi
contestualmente all’introduzione della normativa sulla riduzione e
semplificazione dei riti civili di cognizione (dlgvo n.150 del 1.9.2011) con la
novella introdotta con l’art. 39 d.l. 6.7.011 n.98 il legislatore ha introdotto
l’ennesimo sistema processuale.
Il presente scritto nella prima fase di applicazione
del nuovo istituto ha l’obiettivo di analizzare, guardando soprattutto al piano
della quotidiana pratica giudiziaria, alcuni dei problemi di interpretazione
sollevati dalla normativa .
Quale è l‘AMBITO DI APPLICAZIONE del nuovo istituto ?
Al riguardo è bene evidenziare che la
disposizione contenuta nell’articolo 445 bis cpc, non riguarda tutte le
controversie in tema di invalidità pensionabile, ma soltanto quelle in materia
di invalidità civile e di invalidità pensionabile INPS ovvero le pensione di
inabilità ed assegno disciplinate dalla legge n. 222 del 1984.
Di certo non assume rilievo il fatto che
la controversia sorga in relazione ad accertamenti sanitari operati dall’INPS in
sede di verifica straordinaria ex art. 20 d.l.
1.7.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 3.8.2009, n. 102.
Quindi l’ATP deve essere richiesto anche
laddove la prestazione sia stata revocata dall’INPS e l’interessato intenda
richiederne il ripristino.
Restano escluse pertanto in forza
dell’interpretazione letterale della norma
tutte le altre controversie previdenziali nella quali pure si
controverte di invalidità ovvero quelle di cui all’art. 1 dlg.vo 30.12.1992 n.
503 (pensioni di vecchiaia anticipata in favore di invalidi in misura non
inferiore all’80%) le pensioni ai superstiti in favore di soggetti maggiorenni
inabili ( cr. Art. 13 r.d. 636/1939 ) nonché
il cd. assegno di accompagnamento ex art. 5 legge 222/84 (istituto quest’ultimo
di scarsa applicazione).
Non appaiono assoggettabili al regime
dell’ATP le domande - che pure
coinvolgono accertamento dello stato invalidante- relative all’esenzione dal
ticket prevista dalle ASL e quelle per l’iscrizione negli elenchi del
collocamento obbligatorio. In tali casi infatti legittimato passivo non è
l’INPS e il richiamo della normativa di cui all’art. 10 comma 6 bis d.l. 203 /2005 con riferimento alle modalità
di conferimento dell’incarico .
Restano escluse anche le cause che
interessano le invalidità INAIL e tutte le controversie in cui l’invalidità
viene ricondotta a causa di servizio .
QUALE DEVE ESSeRE IL
CONTENUTO DEL ricorso CON RIFERIMENTO ALLA PRESTAZIONE che si intende far
valere?
La norma impone a colui che intende far valere i
propri diritti di presentare l’istanza per la verifica delle condizioni
sanitarie legittimanti la pretesa fatta
valere.
Il ricorso per ATP deve quindi contenere
l’indicazione della o delle prestazioni che si intendano far valere .
Tale previsione espressamente prevista dalla norma
si ricollega ad una duplice esigenza .
La prima è
certamente di funzionalità del modello processuale: il conferimento
dell’incarico al consulente presuppone l’esatta individuazione dei quesiti i
quali debbono essere formulati solo in ordine alla precisa
prospettazione della domanda sì da evitare consulenze medico-legali cd. esplorative
.
La seconda risponde alla necessità di valutare se ed
in quali termini l’istante abbia soddisfatto il presupposto della preventiva
domanda amministrativa per la prestazione invocata (vd. Infra).
L’INTERESSATO DEVE ALLEGARE I REQUISITI SOCIO-ECONOMICI IN
RICORSO? DEVE PRODURRE DOCUMENTazione comprovante detti requisiti ?
La norma dettata dall’art. 445 bis comma 5 ,nella
parte in cui dispone che dopo l’omologa
gli enti competenti provvedono subordinatamente alla verifica di tutti i
requisiti previsti dalla normativa vigente, induce ad escludere che il Giudice
debba verificare la sussistenza di tali requisiti (reddito , mancato ricovero
in ospedali , frequenza istituti
scolastici , etc. ) .
Quindi , in aderenza alla lettera della legge e allo
spirito che la informa ,la parte istante non sarebbe tenuta nè in termini di allegazione nè di produzione
documentale a richiamare la sussistenza di tali requisiti.
Tuttavia rispetto a tale impostazione si è affermato
che anche il ricorso per ATP è assoggettato alla disciplina dell’art. 100 cpc
per cui il giudice non potrebbe fare a meno di rilevare la carenza
dell’interesse ad agire negando l’accesso alla CTU per carenza di requisiti
socio-economici.
In tale quadro può osservarsi che , ad esempio, la
prova di un reddito superiore ai limiti di legge per la prestazione invocata , potrebbe
escludere l’ammissibilità del ricorso per ATP.
Invero la ratio della novella legislativa appare quella
di focalizzare questa fase giudiziale esclusivamente sull’accertamento
sanitario affidando alla fase (stragiudiziale) successiva la verifica dei
requisiti socio-economici.
Ne consegue che appare ragionevole affermare che
l’istante non ha l’onere di provare
tali requisiti ai fini dell’ammissione all’ATP, ma piuttosto ha l’onere di allegare nella prospettazione dei fatti
che porta a sostegno della pretesa che intende far valere (prestazione
invocata) la sussistenza dei detti requisiti socio-economici.
Il Giudice potrà in ogni caso valutare le eventuali carenze di allegazione ai fini
del regime delle spese del procedimento in questione potendo , ad esempio,in
sede di omologa del requisito sanitario, compensare in tutto e/o in parte le
spese laddove nulla l’interessato abbia allegato in ordine ai predetti
requisiti.
PUO’ ESSERE PRESENTATO RICORSO PER ATP SENZA LA
PREVIA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA AMMINISTRATIVA?.
La natura giurisdizionale del procedimento ex art.
445 bis c.p.c. rende assoggettabile anche tale strumento processuale al
disposto dell’art. 443 c.p.c.; ne consegue che l’attivazione del ricorso per
ATP in parola presuppone necessariamente la presentazione di una idonea domanda
amministrativa.
Difatti il principio generale è quello della
necessità della previa domanda amministrativa per richiedere qualsivoglia
prestazione assistenziale o previdenziale.
La normativa in questione non ha introdotto alcuna
modifica circa le modalità di presentazione della domanda amministrativa e
l’espletamento dell’iter relativo che restano regolate dall’art. 20 del d.l. 78
2009 e dalle circolari attuative dell’INPS .
L’intento del legislatore è quello deflattivo e
la possibilità di proporre l’ATP al solo
fine di accertare il requisito sanitario senza aver prima presentato la domanda
amministrativa produrrebbe un evidente aumento del contenzioso se non
addirittura l’aggiramento della fase amministrativa di accertamento del requisito
sanitario affidato alle commissioni sanitarie .
L’ATP è idonea a
interrompere la decadenza ?
Pur in assenza di precisi riferimenti normativi al
riguardo può affermarsi che la presentazione del ricorso per ATP è idonea sia
ad interrompere la decadenza semestrale per le prestazioni
assistenziali ( art. 42 comma 3 legge 326/2003) sia quella triennale per le
prestazioni previdenziali di cui all’art. 47 dpr. 30.4.1970 n.639).
Non è pertanto necessario a tali fini presentare il
ricorso ordinario.
La preoccupazione degli operatori di un eventuale
proposizione della questione in gradi successivi di giudizio da parte
dell’INPS, di fronte all’orientamento degli uffici giudiziari nel senso ora
indicato, sembra svanire di fronte alla posizione dello stesso INPS che ha
chiarito nella circolare n. 168 del
30.12.2011 che l’ATP interrompe la decadenza.
E’ APPLICABILE IL DISPOSTO DELL’ART. 56 LEGGE
69/2009 ANCHE IN CASO DI PROPOSIZIONE DI
ATP ?
Come è noto l’art. 56 della legge 69/2009 ha esteso
l’applicazione dell’art. 11 della legge 222/84 anche ai procedimenti di
invalidità civile, cecità civile e sordomutismo per cui l’istante che abbia in corso o presenti domanda intesa
ad ottenere il riconoscimento del diritto a dette prestazioni non può
presentare ulteriore domanda per la
stessa prestazione fino a quando non sia esaurito l’iter di quella in corso in
sede amministrativa , o nel caso di ricorso in sede giudiziaria, fino a quando
non sia intervenuta sentenza passata
giudicato .
Stante la comune matrice delle normative di cui alla
recente novella e all’art. 56 citato
intesa alla “razionalizzazione” del contenzioso
e alla deflazione dello stesso ben potrà il giudice rilevare l’inammissibilità
della domanda di ATP laddove verifichi che l’istante non avrebbe potuto
presentare la nuova domanda amministrativa perché illo tempore era pendente altro procedimento amministrativo o
giudiziario relativo alla stessa prestazione.
La circostanza dell’eventuale espletamento della
fase amministrativa ( convocazione , visita della commissione , comunicazione
verbale) non elimina il vizio da cui in radice è affetta quella nuova domanda.
E’bene evidenziare che proprio in sede di attuazione
del citato art. 20 d.l. 78 /2009 la circolare INPS n. 97 del 6.8.2009 ha previsto espressamente l’introduzione,
tra la documentazione da allegare alle istanze di invalidità civile, di
un’autodichiarazione, schema allegato alla circolare, con cui il richiedente
attesti di non aver già presentato analoga domanda ancora in corso di esame in
sede amministrativa ovvero giudiziaria.
PUO’ (O DEVE) PRESENTARE L’ISTANTE UN SOLO ATP PER
FAR VALERE PIU’ PRESTAZIONI ?
La funzione deflattiva da cui è connotato il nuovo
modello processuale e l’assenza di oneri di prova riferiti ai requisiti
socio-economici inducono a ritenere che gli interessati debbono proporre
con un unico ricorso le istanze di accertamento medico-legale dirette ad
ottenere la verifica dei requisiti sanitari quali e quanti siano le prestazione
richieste; tutto ciò evidentemente nel rispetto dei regimi decadenziali per le
singole prestazioni (assistenziali o previdenziali che siano).
Peraltro le tabelle della sezione lavoro di Napoli
già prevedono che in caso di proposizione di più ricorsi ordinari (con il vecchio rito) e oggi di più ricorsi per ATP i ricorsi siano
assegnati allo stesso magistrato che provvederà alla trattazione congiunta dei
procedimenti.
L’opportunità di affidare un solo incarico peritale
– sebbene con la formulazione di più e diversi quesiti- rende ancor più chiara
l’esigenza di riunione dei procedimenti per ATP riguardanti lo stesso
soggetto.
QUALI LE CONSEGUENZE DELLA PROPOSIZIONE DELL’AZIONE
ORDINARIA SENZA LA PREVENTIVA ATTIVAZIONE DEL RICORSO PER ATP?
L’art. 445 bis comma II eleva l’espletamento
dell’accertamento tecnico preventivo a
condizione di procedibilità della domanda nella materia in esame.
La disposizione normativa prevede che laddove il
giudice ravvisi il mancato o incompleto espletamento dell’ATP assegna alle
parti il temine di gg. 15 per la presentazione
dell’istanza di ATP o per il completamento.
In difetto di una espressa previsione circa le sorti
del procedimento giudiziario ordinario, in via interpretativa, deve ritenersi
che il Giudice possa adottare sentenza di improcedibilità con la quale “chiude”
il processo (che non poteva essere iniziato) , disponendo con ordinanza
(separata) per l’attivazione dell’ATP.
La tesi favorevole all’adozione di un provvedimento
di sospensione del processo ordinario in attesa della definizione dell’ATP non
è condivisibile sia perché si ricollega alla previsione della sospensione di
cui all’art. 443 c.pc. non richiamata dalla norma in esame sia per il chiaro
intento del legislatore di riservare l’introduzione del giudizio ordinario alla sola ipotesi
(eventuale) di contestazione delle risultanze dell’ATP (cfr comma 6) .
Il regime di impugnazione di tale sentenza è quello
dell’appello così come quello della sentenza emessa a seguito del giudizio che
si svolga nelle forme ordinarie nel caso in cui il giudice non rilevi e il
convenuto non eccepisca nella prima
udienza l’improcedibilità.
Difatti
il legislatore esclude l’appellabilità delle sole sentenze emesse a seguito del
giudizio di contestazione dell’accertamento tecnico preventivo di cui al comma
6° dell’art. 445 cpc. (cfr. art 27 della legge 183 del 12.11.2011 cd. di
stabilità che alla lettera f)così dispone : all’articolo 445-bis è
aggiunto, in fine, il seguente comma:
«La
sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è
inappellabile».
QUALI LE CONSEGUENZE DELL’EVENTUALE PROPOSIZIONE
CONGIUNTA (IN UNICO RICORSO) DI ATP E
RICHIESTE ORDINARIE?
Chiarito che non vi è motivo per presentare ricorso
ordinario nelle controversie in materia di invalidità per cui opera l’ATP ( vd.
supra decadenza) il giudice – al fine di garantire la speditezza del
procedimento sommario- dovrà separare
i capi del ricorso , provvedendo con sentenza di improcedibilità in ordine alla
domanda di merito (costitutiva del diritto alla prestazione) e procedere a
valutare solo quella diretta all’accertamento del requisito sanitario.
A tal proposito potrà essere più agevole “segnalare”
già in sede di fissazione dell’udienza la presenza della contestualità delle
richieste intendendosi quella udienza
sia di comparizione per dare
impulso alla domanda di ATP ( che sarà trattata con il regime processuale suo
proprio ) sia di discussione in
relazione alla domanda di merito (per la quale in prima udienza potrà
pronunciarsi sentenza di improcedibilità).
Evidentemente tale soluzione può applicarsi più
agevolmente laddove ricorso e giudizio ordinario siano proposti separatamente.
IN QUALI CASI E’ POSSIBILE IL DINIEGO DA PARTE DEL GIUDICE DELL’ATP ? PUO’ VALUTARE SOLO PROFILI DI AMMISSIBILITA’
DELL’ISTANZA O ANCHE DI MERITO?
La norma prevede che in relazione all’istanza di
accertamento per la verifica dei requisiti il giudice procede a norma dell’art. 696 bis cpc. in quanto compatibile
.
Ne consegue che, in ragione del rinvio operato
dall’art 696 III comma alle forme stabilite dagli artt 694 e 695 cpc., il giudice fissa l’udienza di comparizione e
stabilisce il termine della notifica ; provvede
alla nomina del consulente tecnico.
Deve ritenersi che l’iter fisiologico del modello
processuale delineato dalla normativa non esclude che il giudice possa negare
l’ingresso all’accertamento tecnico preventivo rilevando vizi di
inammissibilità .
Nello specifico – richiamando in parte quanto già
detto – il giudice potrà con ordinanza rilevare l’incompetenza territoriale
(inderogabile), l’inammissibilità per intervenuta decadenza , per l’ipotesi di applicazione
dell’art. 56 legge 69/2009, l’improponibilità per mancanza presentazione di idonea domanda amministrativa la cui
verifica si pone in relazione alla pretesa
fatta valere, l’inammissibilità e/o nullità del ricorso per mancata
indicazione della pretesa che si intende far valere.
In sede di ricorso per ATP il giudice dovrà
verificare l’inesistenza e/o nullità della domanda amministrativa così come già
si verificava con l’applicazione del rito ordinario.[1]
La questione più delicata attiene al potere valutativo
del Giudice in ordine al conferimento dell’incarico cioè al potere di negare
l’accesso all’accertamento tecnico preventivo ritenendo , sulla scorta della
prospettazione delle patologie e della produzione della documentazione
sanitaria, ritenendo non giustificata la richiesta di consulenza in relazione
alla indicata pretesa invocata.
Sul punto va evidenziato che proprio il richiamo
all’istituto regolato dall’art. 696 bis c.pc. e non a quello dell’art. 696
c.pc., dimostra l’intenzione del legislatore di svincolare l’ammissione della
CTU dai presupposti del fumus e del periculum (dispersione della prova) propri dell’accertamento
tecnico preventivo “classico”. In realtà il richiamo all’istituto della
consulenza tecnica preventiva introdotta dalla novella della legge 80/2005 al
fine di favorire la conciliazione della lite mira a tutelare il diritto della
parte alla formazione della prova .
Ne consegue che, in concreto , pur se non costituisce
un obbligo per il giudice l’affidamento dell’incarico peritale, appare alla
luce della scelta normativa appare difficile ritenere che il giudice – superato
il vaglio di ammissibilità del ricorso- possa non dare ingresso alla verifica
medico-legale sulle condizioni di salute dell’interessato.
IL CONFERIMENTO DELL’INCARICO AL CONSULENTE MEDICO
LEGALE.
LO SVOLGIMENTO DELLE OPERAZIONI PERITALI.
La disposizione normativa richiama in ordine alle
modalità di conferimento dell’incarico peritale espressamente le disposizioni
di cui all’articolo 10 comma 6 bis del d.l. 203 /2005 e quelle di cui all’art.
195 c.pc..
Il richiamo espresso a tale disposizione sembra
risolvere definitivamente la questione dell’applicabilità alla materia in esame
del sistema di disciplina dello svolgimento delle operazioni peritali
introdotto dal legislatore con la novella dettata dall’art. 46 della legge
69/2009, essa a sua volta recettiva di prassi virtuose già introdotte da alcuni
Uffici giudiziari attraverso i cd. protocolli di udienza.
Ne consegue che il giudice , nominato il CTU e
formulati i quesiti, nell’affidare l’incarico dovrà fissare non solo il termine
anteriore all’udienza entro il quale il CTU deposita la relazione ma anche
termini “intermedi” ovvero quello in cui il CTU comunica alle parti la
relazione ( una sorta di bozza della relazione) e quello in cui le stesse hanno
l’onere di formulare proprie osservazioni al CTU stesso.
Il CTU dovrà , nel depositare la relazione “finale”,
dare atto delle osservazioni rassegnate dalle parti ed esprimere una
valutazione sulle stesse motivando quindi in maniera sintetica ma specifica
sia la conferma del suo convincimento già espresso nella bozza trasmessa nel
primo termine sia l’eventuale modifica delle valutazioni precedentemente espresse.
Il richiamo alla
disciplina speciale dell’art. 10 comma 6 bis impone al CTU, pur in assenza di
costituzione dell’INPS, di inviare apposita comunicazione al direttore delle sede provinciale dell’INPS.
La normativa è stata
integrata e modificata dall’art.38 comma 8 del d.l. n. 98 del 6.7.2011 conv
nella legge 111/2011 per cui la attuale
formulazione dell’art. 10 comma 6 bis è la seguente “Nei
procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie
previdenziali ed assistenziali, nel caso in cui il giudice nomini un consulente
tecnico d’ufficio, alle indagini assiste un medico legale dell’ente, su
richiesta, del consulente nominato dal
giudice, il quale provvede ad inviare, entro 15 giorni antecedenti l'inizio
delle operazioni peritali, anche in via telematica, apposita comunicazione al
direttore della sede provinciale dell'INPS competente o a suo delegato. Alla
relazione peritale è allegato, a pena di nullità, il riscontro di ricevuta
della predetta comunicazione. L'eccezione di nullità è rilevabile anche
d'ufficio dal giudice. Il medico legale dell'ente è autorizzato a partecipare
alle operazioni peritali in deroga al comma primo dell'articolo 201 del codice
di procedura civile. Al predetto
componente competono le facoltà indicate nel secondo comma dell’articolo 194
del codice di procedura civile. .
Ne consegue che il CTU
deve fissare l’inizio delle operazioni peritali ( la visita ) non prima di 15
giorni dall’effettuata comunicazione al direttore della sede provinciale.
Inoltre il CTUI deve allegare alla perizia la ricevuta anche telematica della
comunicazione inoltrata al direttore dell’INPS e solo tale adempimento ( quindi
non il rispetto del termine di 15 gg. ) è prescritto dalla legge a pena di
nullità, rilevabile d’ufficio, della CTU .
Nel contempo la legge
, nell’evidente intento di favorire la presenza del medico dell’Istituto alle
operazioni peritali, attribuisce al
medico legale dell’INPS la facoltà di presenziare alle operazioni peritali, di presentare
osservazioni, partecipare alle udienze, etc anche senza la specifica nomina di
cui all’art. 201 comma I cpc..
Al riguardo deve
evidenziarsi che sia i consulenti (d’ufficio e di parte) sia i legali possono
utilizzare ai fini dello scambio dei documenti (bozza di relazione,
osservazioni) la posta elettronica certificata.
Il nuovo modello processuale non assoggetta la
produzione documentale al regime di preclusione di cui al rito del lavoro per
cui ben può la parte depositare, ad integrazione di quella già prodotta
all’atto della presentazione del ricorso per ATP, ulteriore certificazione comprovante il possesso dei
requisiti medico-legali; il termine ultimo può essere fissato nell’udienza di
comparizione delle parti , coincidente con quella di conferimento dell’incarico peritale.
E’ bene sottolineare che la normativa in esame non
introduce alcuna novità in ordine alle modalità di acquisizione della
documentazione da parte dell’ausiliario del Giudice che resta autorizzato a
utilizzare per le valutazioni medico-legali unicamente le certificazioni
ritualmente acquisite al fascicolo ovvero nel contraddittorio delle parti
con il limite temporale dell’udienza di
conferimento. A tal proposito , al fine di evitare la difficoltà di
individuazione della documentazione sanitaria ( spesso composta da molti fogli)
, è opportuno che anche quando ne viene autorizzato il deposito in udienza sia
accompagnata da un foliario analitico .
A QUALE REGIME IMPUGNATORIO SONO SOGGETTI I
PROVVEDIMENTI DI DINIEGO (INAMMISSIBILITA’ E/O RIGETTO) DELL’ATP.
Mutuando la disciplina dell’ATP di cui alla norma in
questione dalla disciplina dell’art. 694-695 cpc si pone la questione di quale
mezzo di impugnazione possa avvalersi in caso di diniego dell’istanza per
motivi di inammissibilità e/o rito.
Non vi è dubbio che la soluzione discende dalla
qualificazione della natura giuridica del procedimento in questione.
Sul tema , non avendo l’intervento la
pretesa di cimentarsi in disquisizioni dottrinarie, deve evidenziarsi che la
dottrina maggioritaria ha affermato la natura non cautelare ma di procedimento
sommario dell’ATP disciplinato dall’art. 696 bis c.p.c. sul presupposto che
esso costituisce un procedimento diretto a favorire la conciliazione della
controversia e, comunque, a consentire alle parti di precostituire una prova al
di fuori del processo di merito prescindendo dalla ricorrenza del presupposto
del periculum .[2]
Sulla scorta di tale presupposto anche
la giurisprudenza di merito pronunciatasi in ordine all’art. 696 bis c.p.c. ha
escluso la reclamabilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di ATP a
fini di conciliazione [3].
I PROBLEMI CONNESSI ALLA FASE SUCCESSIVA AL DEPOSITO
DELLA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO.
Le novità più significative introdotte dalla novella
del c.p.c. attengono alla fase successiva al termine delle operazioni peritali
ovvero al deposito della relazione peritale .
Il IV comma stabilisce che il giudice, all’esito
della conclusione delle operazioni peritali ovvero del deposito della perizia comunichi
un decreto con il quale fissa il termine
-non superiore a giorni trenta - entro il quale le parti hanno l’onere di
manifestare l’intento di contestare le conclusioni del CTU con apposita
dichiarazione scritta da depositare in cancelleria.
Pur in assenza di una espressa previsione ( la legge
non parla di parti costituite) può ritenersi , attraverso una interpretazione
logica e sistematica fondata sull’art. 10 dl 78/2009 successivamente modificato, che
il decreto deve essere comunicato all’INPS presso il direttore della sede
provinciale anche laddove l’Ente non si sia costituito.
Il V comma ed il VI comma regolano le conseguenze
rispettivamente del mancato o avvenuto esercizio dell’onere di contestazione di
cui al comma IV .
Infatti in caso di mancata contestazione il Giudice
– sempreché non ravvisi la necessità di rinnovare la consulenza e/o di
sostituire il consulente ex art. 196 cpc.- dispone l’omologa
dell’accertamento tecnico con decreto non impugnabile né modificabile con il
quale liquiderà anche le spese del procedimento.
La norma prevede che tale decreto sia notificato
dalla parte interessata agli enti competenti i quali avranno il termine di 120
giorni per effettuare la verifica dei requisiti socioeconomici di legge e
liquidare le prestazioni .
Invece in caso di contestazione ovvero laddove la
parte (o entrambe) abbia(no) manifestato l’intento di non aderire alle
conclusioni del CTU con la dichiarazione scritta di cui al IV comma , la parte
(entrambe) ha(nno) l’onere di depositare un ricorso ordinario, entro trenta
giorni dalla dichiarazione di dissenso, indicando i motivi della contestazione
a pena di inammissibilità del ricorso stesso.
Il giudizio conseguente a tale ricorso sfocia in una
sentenza sottratta al regime di appellabilità così come previsto dal comma VII
aggiunto dall’art. 38 lett. F della legge n. 183/2011.
QUALE E’ IL REGIME DEL DECRETO DI OMOLOGA ?
Il decreto di omologa dell’accertamento tecnico
preventivo non è un provvedimento destinato ad acquisire autorità di cosa
giudicata ; né da conferma il fatto che trattasi di provvedimento non
impugnabile (né modificabile fatta eccezione per errori di ordine materiale) .
Per tale decreto la legge non prevede un onere di
comunicazione da parte della cancelleria del giudice.
Il decreto non è titolo esecutivo in quanto la legge
non gli attribuisce tale efficacia.
A tale proposito deve ritenersi , in difetto della
specifica previsione normativa, che anche con riferimento alla parte del
decreto in cui il Giudice liquiderà le spese processuali in favore della parte
( o del legale distrattario) , il provvedimento non ha efficacia di titolo
esecutivo.
Ne consegue che il procuratore distratta rio, anche
ai fini della liquidazione delle spese processuali, provvederà a notificare il
decreto di omologa, comunicando contestualmente nel rispetto dell’art.
35-quinques introdotto dallo stesso d.l. 98 del 2011 , gli estremi del proprio
conto corrente bancario per consentire l’accredito delle somme riconosciute dal
Giudice.
QUANDO IL GIUDICE OMOLOGA L’ACCERTAMENTO TECNICO
PREVENTIVO?
La concreta possibilità di successo della riforma
appare legata essenzialmente alla valorizzazione del decreto di omologa come
soluzione “principe” di definizione in sede giudiziaria del contenzioso in
materia.
In altri termini solo se ed in quanto il maggior
numero dei procedimenti giudiziari in materia troveranno definitiva modalità di
chiusura con il decreto di omologa potrà ritenersi raggiunto l’obiettivo di
deflazione.
Tale tipologia di provvedimento , infatti, per sua
natura snella ed essenziale – collocato all’esito di un procedimento
caratterizzato da una sola udienza ( quella di conferimento)- potrà consentire
di “spostare” fuori dal processo (di cognizione e di esecuzione ) la fase di
accertamento dei requisiti socio-economici e quella di liquidazione.
Ne consegue che, in sede di interpretazione della
ratio legis, appare consentito estendere
il ricorso all’omologa dell’effettuato accertamento tecnico oltre l’ipotesi (fisiologica)
espressamente prevista dalla legge ( omologa in assenza di contestazioni).
In primo luogo ritengo che il giudice possa disporre
l’omologa dell’ATP anche nell’ipotesi in
cui una delle parti abbia dichiarato l’intento di contestare le conclusioni del
CTU ma a tale dichiarazione non abbia fatto seguito nel successivo termine
perentorio di trenta giorni il deposito del ricorso .
Diversamente opinando il procedimento per ATP
rimarrebbe in uno stato di (indefinita) quiescenza in quanto alla CTU (espletata
e liquidata) non farebbe seguito alcun provvedimento di chiusura (né con
decreto né con sentenza).
Nel caso di mancata attivazione del ricorso di cui al VI comma la soluzione più agevole è
quella di ritenere priva di efficacia la dichiarazione preventiva e quindi di
omologare l’accertamento tecnico .
In secondo luogo , nell’ottica di conservare gli
effetti di quell’accertamento tecnico , il giudice può procedere all’omologa
(anche qui d’ufficio) allorquando dichiari inammissibile il ricorso
tempestivamente prodotto entro i 30 gg.
dalla dichiarazione di dissenso in quanto rilevi la mancata indicazione di
“specifici” motivi di contestazione.
Anche in questo caso – aderendo alla lettera della
legge- in presenza di un accertamento tecnico regolarmente espletato la
proposizione di un ricorso poi dichiarato inammissibile (o improcedibile per
mancata notificazione ) ne vanificherebbe ogni effetto , con evidente ulteriore
possibilità di riproposizione di ricorsi giudiziari nonchè aggravio di spese
per una perizia rimasta priva di effetti.
RAPPORTO TRA NUOVA DOMANDA AMMINISTRATIVA E
PROCEDIMENTO ATP CON RIFERIMENTO ALL’APPLICAZIONE DELL’ART. 56 LEGGE 69/2009.
Con riferimento a tale problematica può affermarsi
che in pendenza del procedimento di ATP inteso a far valere una determinata
prestazione l’interessato non può presentare nuova domanda amministrativa
relativamente alla stessa prestazione ; ciò in ragione della evidenziata natura
giurisdizionale del procedimento.
In difetto dell’attitudine del decreto di omologa a
divenire autorità di cosa giudicata deve ritenersi che la parte possa
ripresentare la domanda amministrativa immediatamente dopo il deposito del
decreto di omologa dell’accertamento tecnico che escludi la sussistenza del
requisito sanitario in relazione a quella prestazione.
Nell’ipotesi di decreto di omologa “positivo” per il
ricorrente l’interessato ha l’onere di notificare il decreto agli enti
competenti ( INPS nella generalità dei casi) affinchè si concluda poi la fase
di liquidazione nei 120 giorni successivi .
OMESSA O TARDIVA LIQUIDAZIONE DELLA PRESTAZIONE DA
PARTE DEGLI ENTI NEL TERMINE DI GG. 120 .
La parte interessata ha l’onere di notificare il
decreto di omologa , al pari del ricorso introduttivo, presso la competente
sede dell’INPS al fine di ottenere la liquidazione della prestazione e delle
spese processuali eventualmente liquidate.
La norma prevede che la liquidazione avvenga
subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla
legge .
Orbene se è vero che la legge prevede che l’Ente
debba esaurire la verifica entro il termine di gg. 120 dalla notifica del
decreto è bene evidenziare che la parte interessata ha l’onere di fornire alla
P.A. tutti gli elementi idonei per tale verifica; ne consegue che – quantomeno
sul piano della prospettazione – l’interessato dovrà fornire in uno con la
notifica del decreto di omologa tutte le dichiarazioni utili e necessarie ( ad
esempio composizione nucleo familiare, stato civile, inesistenza di prestazioni
incompatibili, etc ) al fine di consentire all’Ente di completare la procedura
liquidatoria nel termine di legge.
In proposito è utile richiamare in questa sede la
normativa in tema di certificazioni
L’art.
43 del dpr 28.12.2000 n. 445 così come novellato dall’art. 15 della legge n.
183 del 12.11.2011 dispone che “
Le
amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad
acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di
cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in
possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte
dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle
informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione
sostitutiva prodotta dall'interessato.
Ne consegue che ai fini della liquidazione della
prestazione l’interessato potrà
limitarsi a notificare il decreto di omologa dell’accertamento sanitario a sé
favorevole chiedendo che l’INPS acquisisca d’ufficio le notizie relative alle
dichiarazioni sostitutive o a tutte le informazioni e dati che ha l’onere di
indicare per il reperimento delle informazioni stesse .
Tale disposizione , come può vedersi, non è
invocabile “nel processo” per sottrarsi agli oneri di produzione documentale ma
può certamente essere fatta valere nei confronti dell’INPS , che deve limitarsi
alla verifica “fuori dal processo” dei requisiti di legge non connessi
all’accertamento sanitario.
Poiché il decreto, come si è detto , non è titolo
esecutivo ove l’Ente non dovesse liquidare la prestazione e/o le spese
processuali nel termine indicato di 120 gg.(nonostante la compiutezza delle
dichiarazioni e delle informazioni fornite alla P.A. da parte istante e dal
legale distrattario) l’interessato ( ed
il legale) deve attivare un autonomo procedimento giudiziario al fine di
ottenere il titolo esecutivo per procedere esecutivamente nei confronti
dell’Ente inadempiente per la prestazione e per le spese processuali.
La prova dei requisiti socioeconomici ( reddituali,
presupposti contributivi , mancato ricovero, frequenza istituti scolastici,
etc.) deve essere fornita per iscritto in sede processuale attraverso specifica
certificazione non essendo invocabile in questa sede la normativa sopra
richiamata.
In caso di accertata inadempienza dell’Ente la
presenza dell’accertato requisito sanitario a mezzo dell’omologa e la natura
documentale della prova relativa ai detti requisiti socioeconomici autorizza,
in linea di massima, il ricorso al procedimento monitorio.
Nell’ipotesi in cui l’ente abbia invece espressamente
negato la liquidazione della prestazione – per la quale è stato accertamento il
requisito sanitario- motivando sul presupposto della carenza dei requisito
socioeconomici, può giustificarsi una preventiva instaurazione del
contraddittorio e quindi l’attivazione di un procedimento ordinario diretto
all’accertamento del diritto alla erogazione della prestazione.
In ogni caso la sentenza emessa a definizione dell’eventuale
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo o conclusiva del giudizio
ordinario proposto per la condanna dell’INPS deve ritenersi soggetta ad appello
in quanto non rientrante nel novero
delle sentenze emesse a conclusione del giudizio di contestazione dell’ATP.
E’ CONFIGURABILE LA CD. OMOLOGA PARZIALE ?
E’ possibile che attraverso il ricorso per ATP la
parte intenda far valere più prestazioni economiche e che l’accertamento
sanitario sia ad essa favorevole solo per una o più prestazioni e non per le
altra o le altre dedotte ( ad esempio si riconosce il 100% di invalidità ma non
l’impossibilità a deambulare in presenza di domande per pensione e indennità di
accompagnamento ); la parte potrebbe essere interessata a contestare solo in
parte la Consulenza
tecnica, richiedendo la omologa solo in parte
qua della perizia.
Una prima lettura della norma conduce ad escludere la
possibilità di adottare il decreto di omologa in presenza di una contestazione
delle conclusioni del consulente; come
si è detto o il giudice omologa in assenza di contestazioni oppure se
esse vi sono (anche solo riferite alla decorrenza del requisito sanitario) si
procede all’apertura della ordinaria fase contenziosa.
L’interesse della parte ad avvalersi in parte qua dell’accertamento requisito , sottesa all’ipotesi della cd.
omologa parziale, ben può realizzarsi, a mio avviso, anche all’esito del giudizio
ordinario diretto alla contestazione delle conclusioni della consulenza tecnica
attraverso una omologa differita.
In particolare la prima ipotesi è quella già
richiamata in precedenza allorchè può
verificarsi che il Giudice, a seguito del proposto ricorso ordinario , lo
dichiari inammissibile (o improcedibile). In tal caso il Giudice può , secondo
la tesi qui delineata, d’ufficio omologare quell’accertamento tecnico
preventivo e consentire all’interessato
di ottenere – se in possesso dei requisiti socioeconomici- la liquidazione
della prestazione “minore” o con la decorrenza successiva riconosciuta.
Egualmente tale interesse alla prestazione cd.
minore può realizzarsi all’esito del giudizio ordinario laddove il Giudice –
pur all’esito di supplemento di perizia o di rinnovazione – confermi le
risultanze dell’accertamento sanitario effettuato in sede di ATP. In tal caso
la pronuncia del giudice, nella forma questa volta della sentenza, farà stato
con riferimento alla sussistenza del
requisito sanitario anche se solo per la prestazione minore già
accertata in precedenza.
In altri termini le conclusioni del CTU saranno
recepite dal Giudice nella sentenza e quindi l’interessato potrà avvalersene
per chiedere il riconoscimento del diritto alla prestazione .
Egualmente in caso di accoglimento del ricorso il
Giudice potrà affermare il diritto oltre che alla prestazione maggiore (ad
esempio indennità di accompagnamento) richiesta anche a quella minore per la
quale il CTU aveva già riconosciuto la sussistenza del requisito sanitario in
sede di ATP.
L’OGGETTO DEL GIUDIZIO DI CONTESTAZIONE DELLA CTU.
Si pone a questo punto il problema dell’ambito di
questo giudizio ovvero se la cognizione del giudice debba limitarsi alla
verifica del solo requisito sanitario o si estende anche agli ulteriori
elementi costitutivi della pretesa.
L’interpretazione letterale e sistematica della
normativa induce a ritenere nella tesi qui proposta che l’oggetto di tale
giudizio sia limitato alla verifica del requisito sanitario; tale fase
processuale si colloca come momento immediatamente successivo di riesame delle
risultanze dell’accertamento tecnico preventivo rispetto al quale una parte (o
entrambe ) hanno inteso sollevare specifiche e motivate contestazioni.
La scelta legislativa appare chiara e netta .
L’intento deflattivo è perseguito attraverso la fissazione
di un termine perentorio di soli 30 gg. dalla dichiarazione di dissenso per
proporre il ricorso e soprattutto attraverso la previsione dell’onere di
indicare , a pena di inammissibilità, in maniera specifica i motivi della
contestazione .
Non appare condivisibile l’impostazione pure
efficacemente sostenuta , della possibilità che l’oggetto di questa giudizio-
per così dire oppositorio- si estenda anche agli ulteriori requisiti
socioeconomici sì da consentire alle parti di introdurre per la prima volta
temi di indagine non oggetto di esame durante il procedimento per ATP.
In tale ricostruzione si consente alla parte
(originario ricorrente e/o INPS) di contestare non solo le risultanze di
quell’accertamento ma di introdurre anche la domanda di merito in modo tale da richiedere, previo eventuale riesame della CTU
(chiarimenti/rinnovo) , la condanna ( in via diretta o riconvenzionale ?) dell’INPS
al pagamento della prestazione inizialmente fatta valere .
Tale interpretazione trova il suo assunto nel timore
che la riforma possa realizzare l’effetto perverso di un aumento del
contenzioso ; lo svolgimento di un giudizio ordinario diretto al solo
accertamento del requisito sanitario potrebbe aprire la strada , in caso di
riconoscimento dello stesso, ad ulteriore giudizio per la verifica dei
requisiti socioeconomici e per liquidazione della prestazione.
Orbene , tale pericolo ( lo stesso che può aprirsi
all’esito dell’inadempimento dell’INPS dopo la notifica del decreto di omologa)
non può giustificare, a mio sommesso avviso, interpretazioni della norma che si
pongono non solo in contrasto con la lettera della norma ma anche con l’intero
(opinabile) meccanismo normativo.
In proposito appare corretto evidenziare che l’intento di deflazionare il contenzioso non
può realizzarsi con la scelta di questo o quel modello processuale ma
restituendo efficienza all’organizzazione della gestione del procedimento
amministrativo sia nella fase di verifica del requisito sanitario sia in quella
successiva di liquidazione delle prestazioni per i quali sia verificata la
sussistenza del requisito socio-economico.
La deflazione del contenzioso in materia
assistenziale deve affrontarsi percorrendo la strada maestra
dell’organizzazione e non certo adottando soluzioni interpretative forzate
rispetto ad un quadro normativo di per sé lacunoso e contraddittorio.
Del resto la stessa soluzione di “aprire” alla
domanda di condanna alla prestazione nella fase di contestazione alle
risultanze dell’ATP può significare di fatto lo svuotamento della fase di
accertamento tecnico preventivo , l’accantonamento del meccanismo di omologa e
l’incentivazione del contenzioso ordinario. Difatti basti pensare che la parte
sarebbe indotta -anche solo per l’ipotesi del riconoscimento del requisito
sanitario con decorrenza successiva a quella richiesta- a non accedere alla
omologa e alla liquidazione stragiudiziale dell’INPS, ma a sollevare
contestazioni alla perizia così da introdurre il giudizio di merito . Tale fase
processuale condurrà , secondo quanto prospettato , alla verifica dei requisiti
socio-economici ed a una sentenza di
condanna dell’Ente con liquidazione delle spese di una duplice fase processuale
(ATP+merito).
Sotto altro aspetto tale soluzione pone il problema
del regime di impugnazione di tale decisione.
Difatti il comma 7 aggiunto all’art. 445 bis c.pc.
sembra affermare l’inappellabilità della sentenza proprio sul presupposto che
il procedimento attiene alla contestazione del solo profilo di accertamento del
requisito sanitario.
Se si ritenesse di estendere l’inappellabilità alla
sentenza che si pronunci sulla domanda nel merito verrebbe di fatto precluso un
grado di giudizio in contrasto con i limiti della previsione normativa.
QUALE IL REGIME DELLE SPESE ?
Deve ritenersi che anche in sede di ricorso per ATP
l’istante ha l’onere al fine dell’esonero dalle spese in caso di soccombenza di
allegare al ricorso la specifica dichiarazione reddituale ex art. 152 disp. att.
c.pc..
Viceversa non
può ritenersi applicabile in tale fase processuale l'articolo 152
disp.att. laddove prevede che la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione
del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l'importo
nelle conclusioni dell'atto introduttivo. ».
Il procedimento per ATP è finalizzato al
solo accertamento del requisito sanitario e non contiene domande di merito.
Nella liquidazione delle spese il giudice terrà
conto della tariffa forense, allo stato applicabile in attesa delle innovazioni
apportate dal cd.decreto liberalizzazioni ,applicando la tabella relativa ai
procedimenti speciali
dott.
Giuseppe Gambardella
[1] In proposito è bene ricordare che la suprema
Corte Ord. 20 gennaio 2011 n. 1271 ha espressamente previsto che la domanda amministrativa
costituisce presupposto necessario per il diritto alla prestazione
assistenziale richiesta e, in particolare, la presentazione di una specifica
domanda amministrativa volta al conseguimento dell'indennità di
accompagnamento, di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1, costituisce, unitamente
ai previsti requisiti sanitari, un elemento necessario per l'attribuzione di
tale beneficio in sede giudiziaria, a pena di improponibililà del ricorso,
mentre deve escludersi che tale domanda possa ritenersi compresa in quella
diretta al conseguimento di un beneficio diverso come quello alla pensione di
inabilità, senza che in contrario possa invocarsi il disposto di cui all'art.
149 disp. att. cod. proc. civ., atteso che la citata norma prevede solo, per
economia processuale, che il giudice tenga conto anche dei successivi
aggravamenti verificatisi in sede giudiziaria ma sempre e solo ai fini del
beneficio previdenziale o assistenziale richiesto con l'originaria domanda in
senso conforme Cass. Sent 6941/2005 secondo la quale l'indennità di accompagnamento, come prevista
dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1980 n. 18, si basa su presupposti sanitari
del tutto diversi da quelli richiesti per i mutilati e gli invalidi civili,
poiché le infermità denunciate, ai fini del conseguimento del diritto, devono
essere tali non già da ridurre o escludere permanentemente la capacità di
lavoro - come per l'assegno o la pensione di inabilita-, costituendo, anzi, un
presupposto del richiedente il fatto che egli abbia lo status di invalido
civile totalmente inabile, bensì tali da comportare permanenti impossibilità di
deambulazione o di compimento degli atti quotidiani della vita in modo
autonomo.
[2] Con Sent.n.19254 del
14.09.07 la III Sez.
della Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di ricorrere in Cassazione
avverso il provvedimento del Giudice che accoglie il ricorso ex art.696 bis per
la violazione di norme sulla competenza, così come ne ha escluso l’impugnabilità
mediante regolamento di competenza, ritenendo che non pregiudichi questioni
relative alla sua ammissibilità o rilevanza non avendo natura decisoria.
[3] In tal senso Trib Mantova
3.7.2008 in Giur. it., 2009, p. 929; Trib.Siracusa 7 ottobre 2010
Salve Collega, mi trovo dinanzi ad un dubbio. Le spiego sinteticamente di cosa trattasi. Ho proposto atp ex art. 445 bis cpc per il riconoscimento dell'inv. civ. al fine di usufruire in fase di domanda di pensionamento della contribuzione figurativa. Ora, il Giudice, ritenendo l'inapplicabilità dell'atp, ha disposto il mutamento di rito, con termine per deposito di atti e documento. Ebbene, cosa dovrei fare in tal caso. Dovrei
RispondiEliminaSalve Collega, mi trovo dinanzi ad un dubbio. Le spiego sinteticamente di cosa trattasi. Ho proposto atp ex art. 445 bis cpc per il riconoscimento dell'inv. civ. al fine di usufruire in fase di domanda di pensionamento della contribuzione figurativa. Ora, il Giudice, ritenendo l'inapplicabilità dell'atp, ha disposto il mutamento di rito, con termine per deposito di atti e documento. Ebbene, cosa dovrei fare in tal caso. Dovrei
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